Che il bando di assegnazione delle presunte frequenze televisive inutilizzate (!) fosse un pasticcio demagogico l’avevamo scritto e riscritto. Che Gentiloni, alla fine, sarebbe stato probabilmente ricordato per i pastrocchi nella gestione del Ministero delle Comunicazioni e non già per il suo utopico progetto di riforma, anche. Che i ricorsi delle associazioni di categoria delle emittenti locali (escluse immotivatamente dalla gara, riservata alle sole nazionali con carenza di illuminazione) contro il provvedimento criticato rischiassero di diventare un boomerang, essendo stati proposti in carenza di un sostanziale periculum in mora (che insieme al fumus boni iuris costituisce il requisito essenziale per avanzare istanza cautelare di sospensione di un atto amministrativo) e come tali probabilmente respinti, pure.
Ma che il motivo vincente per ottenere che il bando confutato da ogni parte fosse sospeso sarebbe consistito nella “preclusione alla partecipazione alla gara per l’assegnazione delle frequenze prevista per gli operatori digitali”, circostanza “irragionevole e idonea a creare una asimmetria competitiva al contrario” che non “trova riscontro in espresse disposizioni legislative”, no, francamente, non lo avevamo previsto. Invece il Consiglio di Stato ha ritenuto che la compressione degli interessi legittimi di 3Lettronica Industriale, editrice dell’emittente DVB-H H3G, inopinatamente esclusa dal bando, fosse intollerabile da parte del nostro ordinamento giuridico (in quanto prevedendo l’assegnazione di frequenze alle sole tv nazionali minori analogiche avrebbe discriminato le nazionali in tecnica numerica). Pertanto, i supremi giudici amministrativi hanno valutato il ricorso dell’operatore DVB-H avverso l’ordinanza del TAR Lazio (che in primo grado aveva rigettato l’istanza cautelare) “sostenuto da sufficiente fumus boni juris” e quindi meritevole di accoglimento.
Il Ministero dello Sviluppo Economico, dipartimento per le Comunicazioni, dovrà quindi prendere in mano l’ennesimo timballo del governo Prodi e rifare tutto, o, forse (meglio), annullare in via di autotutela amministrativa l’intera operazione, del resto considerata dalla stragrande parte degli analisti ab origine irrealizzabile (la maggior parte dei canali indicati come utilizzabili è in realtà già occupata legittimamente da emittenti locali).
Caso archiviato, quindi? Probabilmente, sì. Ma sullo sfondo di questa decisione cautelare c’è, per qualcuno, una possibile anticipazione dell’attesa sentenza del Consiglio di Stato sul caso Europa 7, che ruota proprio intorno alla mancata assegnazione di frequenze tv a seguito di rilascio di concessione per radiodiffusione televisiva, foriera (per l’editore della rete fantasma Di Stefano, confortato da un provvedimento a lui favorevole della Corte di giustizia europea) del diritto all’ottenimento di un risarcimento dallo Stato italiano. Anche in quel caso, infatti, si parla di assegnazione di frequenze potenzialmente disponibili (quelle di Rete 4 e Raitre, che avrebbero dovuto migrare sul satellite), mai, come noto, avvenuta. Tuttavia, come abbiamo fatto notare più volte su queste pagine, la distonia censurata dal ricorrente risiede, invero e al più, nel sistema nel suo complesso e non già nel caso specifico (di Europa 7). Sicché o tutti risarciti, emittenti tv nazionali e locali, o nessun risarcito. Perché ad essere giuridicamente fallace potrebbe e dovrebbe essere, semmai, il principio italiano di accesso al sistema radiotelevisivo (di sostanziale impronta privatistica, in quanto basato sull’acquisizione di risorse frequenziali da operatori già attivi e non già previa attribuzione pubblicistica da parte dello Stato) e non la fattispecie di Europa 7. Vedremo se andrà così.