4 italiani adulti su 10 (15+ anni) hanno visto contenuti audiovisivi illecitamente acquisiti, 1 su 2 ragazzi fra i 10 e i 14 anni.
La forma di pirateria più diffusa è la fruizione digitale connessa (33%) il contenuto più piratato rimane il film (33%), in leggero calo rispetto al passato (era 37% nel 2010) mentre cresce la visione di contenuti televisivi (19% erano 11% nel 2010), siano essi serie tv (USA, che balzano al 22% dal 13% del 2010) o programmi televisivi in generale (dall’8 al 19%). Sono queste alcune rilevanze emerse dall’indagine sulla pirateria audiovisiva presentata da FAPAV (Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali) il 5 giugno a Roma presso la casa del Cinema. A distanza di 6 anni dall’ultima rilevazione, l’indagine, che quest’anno è stata condotta da IPSOS per la Federazione è volta a valutare l’incidenza della pirateria di prodotti audiovisivi in Italia, nelle diverse forme (fisica, digitale e indiretta), per i diversi contenuti (film, serie tv (US) e fiction/sport e programmi di intrattenimento), oltre a stimare i danni arrecati all’industria audiovisiva e oltre – danno economico a tutti i settori, perdita di PIL, fiscalità, posti di lavoro.Sono 669 milioni i titoli piratati nel 2016 proiettando le stime sull’intera popolazione, oltre 680 i milioni di euro persi dalla sola industria AV a causa della mancata fruizione attraverso i canali legali. Ma l’impatto si riverbera anche sul totale industria (1,2 miliardi di euro), sul sistema Paese (427 milioni di euro il danno stimato sul PIL), sull’occupazione (oltre 6.500 i posti di lavoro a rischio), sul fisco (198 milioni di euro i mancati introiti fiscali). Lo studio ha il merito di monitorare un fenomeno che in Italia ha ancora una consistenza molto significativa, a differenza di altre realtà Europee, di confermare alcune preoccupazioni e di segnalare punti di attenzione, in particolare rispetto alla necessità di formare e rendere consapevoli i più giovani; ma anche di sfatare alcuni luoghi comuni, da tenere presenti quando ci si appresta ad affinare norme, regolazione ed enforcement, temi affrontati nei panel di discussione successivi alla presentazione.
Tra le rilevanze di interesse si segnala ad esempio che il profilo sociodemografico prevalente degli utilizzatori di contenuti illegali è tendenzialmente maschile, alto per istruzione (62% diplomati) e classe economica (54% occupati, autonomi e in funzioni direttive al di sopra della media italiana): ossia la pirateria non sembra derivare da oggettive difficoltà economiche. I “pirati digitali” inoltre sono sempre più connessi e sempre più utilizzano strumenti cloud (cybelocker rispetto a bit torrent e peer to peer), a seguire la maggiore sofisticazione dell’offerta illegale.
Cresce la pirateria digitale, ma anche la consapevolezza di commettere un reato: tuttavia un fruitore su 4 di contenuti illegali ritiene che il reato commesso non sia grave (e forse, aggiungeremmo, perseguito). Per contro dalle interviste risulta che aumenta la disponibilità a ricorrere ad alternative legali, soprattutto online.
La ricerca definisce “pirati” i fruitori di contenuti illeciti, che, come risulta dall’indagine, sono il 39% degli adulti italiani e oltre il 50% dei ragazzi. Lato offerta tuttavia, non ha mancato di sottolineare nel suo intervento sull’attività della Federazione Federico Bagnoli Rossi, segretario Fapav ci sono delle reti di criminali strutturate che nell’esperienza di lavoro sono spesso “catene distributive illecite organizzate”, che utilizzano server transfrontalieri, conti off-shore, utilizzano i dati sensibili raccolti: a fronte di strategie e profitti che evolvono in forme sempre più sofisticate, gli strumenti devono di necessità essere diversi e sempre più sofisticati. Fra le leve proposte, oltre ai pilastri, l’autorità giudiziaria e quella amministrativa, le attività di comunicazione ed educational, il segretario suggerisce accordi di autoregolamentazione.Il dibattito che ha seguito la presentazione della nuova indagine Fapav/Ipsos, ha visto la partecipazione di Autorità, Forze dell’Ordine, Magistratura e Operatori, fra cui, per Confindustria Radio Televisioni, il Vicepresidente Stefano Selli. L’intervento di Selli si è concentrato sulle nuove e più pervasive forme di pirateria di contenuti televisivi, collegati alla rivendita di hardware e abbonamenti scontati a servizi dei maggiori operatori pay italiani e stranieri. La commercializzazione degli apparati avviene attraverso i maggiori portali e-commerce, la fruizione via Internet attraverso reti criptate. Nuove forme di pirateria che, al pari di quelle più strutturate dei portali che lucrano sulla pubblicità, hanno una apparenza ingannevole di legalità nella forma, nella struttura e nell’accessibilità dell’offerta e dei servizi. Analogamente piratati sono i palinsesti delle emittenti, il cui streaming gratuito viene ribattuto da portali che sottraggono risorse pubblicitarie (e riferibilità) all’editore originario. Selli si è soffermato anche sul problema della profilazione del pirata, inconsapevole dell’illegalità, ma al tempo stesso adulto e istruito.
L’indagine svolta da Ipsos per Fapav ricalca l’impianto delle edizioni precedenti (2009 e 2010) con un mix di CAPI, Computer Assisted Personal Interviews) e CAWI (Interviste su web), per poter valutare l’evoluzione del fenomeno nel tempo, aggiungendo per il 2016 un focus sugli under 15. Il contratto con Ipsos, triennale, ripete il monitoraggio su base annuale con approfondimenti tematici. (E.G. per NL – fonte Confindustria RTV)