Segnali positivi sul fronte dell’Ebit (+246,3 mln di euro, rispetto ai -235 milioni dell’anno 2012), utile netto a 8,9 mln di euro: i due valori hanno convinto Mediaset a concedere un aumento delle remunerazioni del 30% rispetto all’anno precedente.
L’incremento più significativo è quello spettato al direttore generale dell’informazione del gruppo: la busta paga 2013 di Mauro Crippa segna infatti un aumento del 38,4% rispetto al 2012, per un totale di 1,2 mln di euro, grazie anche ad un bonus di 406 mila euro. Non piange nemmeno il portafoglio del presidente Fedele Confalonieri, che si porta a casa 3,73 mln di euro, con un bonus di 200 mila euro (+36% sul 2012). L’aumento salariale dell’amministratore delegato del Biscione e di Publitalia, Giuliano Adreani, risulta più contenuto (+10%), intascando un totale di 3,3 mln di euro annui. Anche tutto il resto del management della società di Cologno Monzese viaggia con stipendi in netta crescita, attestati tra il 32 e il 34%: il vicepresidente Piersilvio Berlusconi – intascando quasi 2 mln di euro – e il cfo e amministratore delegato di Rti, Marco Giordani – con una retribuzione di 1,35 mln – hanno visto rispettivamente un +33,8% e un +32% rispetto all’anno 2012. Bene poi per Niccolò Querci (direttore centrale del personale e dell’organizzazione del Biscione) su del 33%, e per Gina Nieri (che ricopre il ruolo di direttore divisione affari istituzionali, legali e analisi strategiche) a quota 1,3 mln, segnando un +34%. Se le remunerazioni del gruppo manageriale fossero lo specchio dell’andamento del comparto editoriale, per Mediaset sembrerebbe che il punto più basso della crisi degli scorsi anni sia stato ormai lasciato alle spalle e che si possa guardare – con leggero e prudente ottimismo – al futuro. È necessario poi gettare un’occhiata d’insieme anche sulle remunerazioni 2013 dei vertici di altri tre importanti gruppi quotati in borsa. Azzurra Caltagirone, vicepresidente dell’omonima società, Caltagirone Editore (che è oggi il secondo gruppo editoriale italiano per lettori medi giornalieri, annoverando quotidiani come Il Messaggero, Il Mattino, Leggo), ha ricevuto una busta paga da 718 mila euro, in crescita dell’8,7% sul 2012 – nonostante i ricavi del gruppo per l’anno 2013 siano stati in calo del 7,1% rispetto all’anno precedente -. Per quanto concerne il gruppo editoriale L’Espresso, l’amministratore delegato Monica Mondardini, si è dovuta accontentare di portare a casa poco più di un milione di euro, in diminuzione del 35% sul 2012 (come ricorderanno i nostri lettori, il fatturato complessivo del gruppo è decresciuto del 12,4%, pari a 711,6 milioni, con ricavi diffusionali in discesa a -5,8% per 248 mln e quelli pubblicitari a -15,4% per 403 mln). Il presidente Carlo De Benedetti ha invece mantenuto la stessa paga pari a 425mila euro, mentre Corrado Corradi, dal 2011 direttore generale della divisione stampa del gruppo L’Espresso, è a quota 299.907 euro (in calo del 12,4% sul 2012). Infine in Telecom Italia Media, il presidente Severino Salvemini, con un balzo del +50%, mette in tasca 540 mila euro, mentre Marco Ghigliani (ex di TI media, e da aprile 2013 presidente di MTV Italia) accumula 236 mila euro di retribuzione per l’incarico di direttore generale fino a quella data e 807 mila euro di liquidazione – per un totale di oltre un milione di euro -. La questione relativa agli stipendi manageriali è stata molto dibattuta nelle ultime settimane: da martedì 1 aprile infatti è entrato in vigore il decreto ministeriale n. 166 del 24 dicembre 2013 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 63 del 17 marzo 2014), che “integra e completa il quadro normativo che regola i compensi degli amministratori con deleghe delle società non quotate controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze”. Il taglio funziona in base a una divisione in tre fasce, come riporta il comunicato stampa del 28 marzo 2014: “Nella prima fascia si collocano le società con un valore della produzione maggiore o uguale ad un miliardo di euro, con investimenti maggiori o uguali a 500 milioni di euro e un numero di dipendenti pari a 5.000 unità o più. Alla seconda fascia appartengono le società con valore della produzione maggiore o uguale a 100 milioni di euro, investimenti pari ad almeno un milione e con almeno 500 dipendenti. Le società che presentano parametri inferiori appartengono alla terza fascia”. Il provvedimento prevede di stabilire un limite per lo stipendio di presidente e amministratori delegati (fissato nell’equivalente della retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione, che guadagna 311.658,53 euro lordi l’anno). Gli amministratori delegati delle società di prima fascia potranno guadagnare quanto il primo presidente, quelli di seconda fino all’80% e quelli di terza fino al 50%. Per i presidenti, cui siano state conferite deleghe che accompagnano quelle conferite all’amministratore delegato, può essere deliberato un compenso pari al massimo al 30% di quello deliberato per quest’ultimo. Stipendi d’oro divisi a metà dunque: da un lato le società private che gonfiano le tasche dei propri manager, dall’altro il MEF che aziona una ghigliottina immediata, imponendo l’adeguamento ai nuovi limiti, affinché risultino il più possibile prossimi alla media europea. (V.R. per NL)