La tecnologia corre molto più velocemente di Road Runner. E la sfortuna dei produttori di televisori è che i consumatori sono anche più lenti del Coyote Wile.
Ragion per cui una delle strategie note per vendere più apparecchi tv è quella di abbassarne progressivamente il prezzo permettendo così all’utente finale di “stare al passo” con le evoluzioni del mercato in maniera economicamente accessibile. Quando però questo processo subisce accelerazioni eccessive può arrivare il momento di dichiarare il potenziale insuccesso dell’uno o dell’altro prodotto. In questo caso si tratta dei televisori 3D-ready che, diversamente da quanto molti di noi avevano pensato e secondo quanto riportato recentemente dal WSJ, hanno fallito, per tutto il corso del 2010, nell’obiettivo di entusiasmare il telespettatore moderno. Forse perché la tecnologia in tre dimensioni non è, in effetti, adatta a qualsiasi tipologia di show televisivo e viene più facilmente associata a film di animazione o fantastici, dove anche solo gli scenari potrebbero meritare un’esperienza di fruizione molto avanzata. Per il resto si può dire che il 3D è ben lontano dal diventare qualcosa di estremamente popolare. Discorso diverso è stato invece fatto per le cosiddette smart TV. Consultando alcuni dei dati pubblicati dal WSJ e reperiti da una grande ricerca di mercato della società Display Search, almeno il 21% dei televisori venduti a livello mondiale nel 2010 sono smart e, quindi, sono dotati di una connessione ad internet. Ed è questa la direzione che sta prendendo il mercato, certo di un trend inevitabile e di un presupposto più che certo: quello secondo cui in un mondo dove la popolazione è già capace e abile nell’utilizzo di smartphone di nuova generazione, il traguardo delle smart TV può essere chiaramente più vicino del previsto. L’unico rischio per i produttori di tv – ammette il WSJ – è quello secondo cui il vero guadagno stia più che altro dietro lo sviluppo di nuove applicazioni e widget per tv, non tanto nella produzione e vendita di televisori connessi ad internet con software proprietari sui quali poi si affollano le apps. Ma a questo problema tutti sembrano aver trovato, più o meno, una soluzione: è nota come revenue share. Di norma, infatti, i produttori di tv presentano ai produttori di applicazioni un contratto che contiene indicazioni ben precise a riguardo della condivisione degli introiti. E per fare in modo che qualche soldo arrivi anche a loro chiedono addirittura il 50% degli introiti derivanti dalla pubblicità o da servizi a pagamento destinati agli utenti finali. Tanto o poco che sia, la realtà dimostra che nel 2010 la legge della revenue share non ha ancora dato, almeno in Italia, grandi risultati, proprio perché l’anno di cosiddetta sperimentazione è servito più che altro a capire cosa e come sviluppare per la piattaforma televisiva connessa al web. Per arrivare a capire come guadagnarci sopra il passo potrebbe essere ancora lungo, ma non per tutti. Servizi on demand e giochi a pagamento online potrebbero effettivamente fare fortuna, anche in considerazione del fatto che il widget può apparire sullo schermo tv a richiesta in qualunque momento, qualunque sia lo spettacolo che si sta guardando. La cosa positiva in tutto ciò è che se il 3D si sta dimostrando un fallimento, i produttori stanno ritoccando i prezzi degli smart TV, certi di un loro prossimo successo. Se l’anno scorso, a parità di dimensioni dello schermo, un televisore connesso ad internet costava almeno 300 euro in più di quello connesso, quest’anno questa differenza si assottiglierà per apparecchi ancora più evoluti e connessi anche in modalità wi-fi. E sempre più telespettatori potranno vivere l’esperienza dell’internet tv. (M.M. per NL)