Tv. Governo studia recupero forzoso dai morosi. Ma nessun politico vuol marchiare con proprio nome una norma impopolare

113,50 euro: è questo l’importo “dell’imposta sulla detenzione di un apparecchio televisivo atto a ricevere segnali audiovisivi”, a prescindere dall’uso o meno del televisore.

Nel primo mese dell’anno sulle reti nazionali pubbliche si rincorrono messaggi che ricordano i termini di scadenza per il pagamento del cosiddetto “abbonamento Rai”, forse la tassa più odiata dagli italiani (semmai qualche tassa possa essere "amata", beninteso). I ricavi “da canone” pesano non poco sul totale complessivo delle entrate: basti pensare che nel 2013 sono stati pari a 1,76 mld di euro, registrando un +0,4% sull’anno precedente (Mediaset ha incassato pubblicità per 2,06 mld di euro, quindi il canone Rai 2013 da solo vale più dell’85% della raccolta pubblicitaria del Biscione, mentre in tempi pre-crisi si attestava al 50% dei ricavi del concorrente). Certo è che in tempi di grande crisi e di calo della raccolta pubblicitaria dei media, la Rai può contare su un’entrata fissa e garantita annuale, certezza di cui evidentemente non possono godere le emittenti che si nutrono di sola pubblicità. Una situazione verso la quale, dall’avvento delle reti private, totalmente free per gli utenti, gli italiani hanno mostrato progressiva insofferenza, leggendola sempre più spesso come un prelievo forzoso dalle proprie tasche per consentirne un successivo sperpero nei mille rivoli delle immense spese del colabrodo televisivo pubblico. Sta di fatto che, all’inizio di ogni anno, prescindendo dai risultati d’ascolto, dall’andamento del pil e dei consumi, la società presieduta dal giugno 2012 da Anna Maria Tarantola, può disporre di un tesoretto che consente un’agile pianificazione degli investimenti e delle produzioni televisive. Nel 2013 viale Mazzini ha raccolto 682 mln di euro in spot, 291 mln da ricavi commerciali e, come ricordato sopra, ben 1,76 mld da canone. Lo stesso non accade alle tv commerciali che, partendo da ricavi zero, solo in corso d’opera, con il passare dei mesi, riescono a capire se la raccolta in arrivo riuscirà a finanziare i programmi. Stesso discorso vale per le pay tv, come Sky, non dotate di “ossigeno” puro e garantito: gli abbonati vanno tutelati, ascoltati e coccolati per potersi assicurare una chance per un futuro rinnovo dei contratti. Tornando sull’imposta a carico delle tasche degli italiani, nelle scorse settimane, lungi da qualsiasi ipotesi di abrogazione, si sono susseguite voci di possibili provvedimenti governativi per il recupero dell’evasione del canone RAI: l’introito eventualmente recuperato, stimato attorno ai 300 mln di euro, sarebbe stato destinato per metà al Tesoro e per metà alla società concessionaria del servizio pubblico. Tra le ipotesi in fase di studio, per dare garanzie alla Corte dei Conti, ci sarebbe stata la possibilità di legare il pagamento del canone non più alla detenzione dell’apparecchio, ma alla bolletta elettrica o (addirittura) al nucleo famigliare. Il governo tuttavia – probabilmente anche in coscienza dell’impopolarità estrema del provvedimento – non è riuscito a inserire nel decreto Irpef una misura per collegare la riscossione del canone Rai alla bolletta, pur non escludendo una possibile realizzazione futura: "Sì sì assolutamente, ne abbiamo discusso", ha confermato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Graziano Delrio, rispondendo alla domanda della giornalista Lilli Gruber a Otto e mezzo, programma televisivo in onda su La7. Ma il tema, in un momento di estrema indigenza delle famiglie italiane, è scottante e in pochi (per non dire nessuno) vogliono suggellare col proprio nome un’iniziativa che sarebbe vista come l’ennesima aggressione alle sempre più vuote tasche dei cittadini. (M.L. per NL)

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