Il ricorso di Europa 7 contro l’Italia sara’ discusso dalla Grande Chambre della Corte europea dei Diritti dell’Uomo in udienza preliminare il 25 maggio prossimo alle 9.15 a Strasburgo.
Si tratta, spiega una nota del Consiglio d’Europa, dell’emittente che nel 1999 aveva ottenuto una concessione televisiva per la diffusione via etere, ma che, non avendo ricevuto concretamente l’assegnazione delle frequenze, all’atto di proposizione del ricorso non poteva ancora trasmettere. La cronaca degli eventi è arcinota ai lettori di questo periodico. Dopo oltre dieci anni di atti giudiziari (nazionali e comunitari), Europa 7, emittente fondata e guidata da Francesco Di Stefano, vince il suo contenzioso con il MSE-Com, reo di aver rilasciato (nel ’99) una concessione, come detto, priva del requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività deputata: i canali su cui concretamente operare. A dire il vero non è che Europa 7 si trovasse in una situazione tanto diversa dagli altri operatori, visto che, dalle nostre parti, lo Stato, almeno sino all’assegnazione dei canali DTT, si era sempre limitato a rilasciare la patente, mentre la vettura ogni editore aveva dovuto comprarsela da sé, sul mercato e coi soldini. Ma tant’è, secondo Di Stefano, ciò era una stortura giuridica e tanto il nostro aveva brigato che alla fine aveva avuto ragione. Che poi gli anni trascorsi nelle aule giudiziarie, mentre fuori il mercato evolveva e i competitor si posizionavano, ponendo distanze ora difficili da colmare, siano stati un investimento è tutto da verificare. Fatto sta che alla vittoria giudiziale conseguì l’assegnazione di un canale nazionale, il VHF 8, ritagliato dagli spazi generati dall’adeguamento della banda VHF italiana alla canalizzazione europea. Vittoria di Pirro, si lamentò Di Stefano, restituendo al mittente il canale assegnato, che, a suo dire, si palesava da subito come un ricettacolo di problemi tecnici anziché un vettore per iniziative commerciali ed editoriali degne di nota. Così Di Stefano ricominciò a pestare i piedi finché, nel dicembre 2009, il MSE-Com, apparentemente stremato, alzò bandiera bianca e rivide l’assegnazione, integrandola con canali diversi (il 69 in primis, che però già si sapeva che avrebbe dovuto essere presto destinato allo sviluppo della banda larga mobile in ossequio alle direttive UE), e – cosa ben più importante per l’intero settore – derogando al principio del single frequency network (SFN), che fino ad allora aveva caratterizzato le reti nazionali (detta deroga avrebbe inevitabilmente inciso – come osservato al tempo da questo periodico – sul nuovo Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze, licenziato successivamente da Agcom). Il resto è cronaca recente, con l’ampia campagna pubblicitaria di Europa 7 per presentarsi come prima emittente nazionale in tecnologia DVB-T2; iniziativa non seguita, tuttavia, da una diffusione del segnale in linea con le aspettative dell’utenza (ancora oggi la copertura è limitata a poche città italiane). Nel frattempo, Di Stefano, il 16 luglio 2009, si era rivolto alla Corte dei Diritti dell’Uomo che il 10 novembre dello stesso anno ne aveva accolto l’istanza. Col suo ricorso Di Stefano aveva invocato l’applicazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, che riguarda la liberta’ di espressione (perche’, senza giustificazione, sarebbe stato impedito a Europa 7 di comunicare informazioni); l’art. 14 (perché Europa 7 sarebbe stata discriminata a vantaggio di altra emittente), l’art. 6, comma 1, per il diritto a un processo equo e infine il primo comma dell’art. 1, sul diritto alla proprieta’, per il quale l’editore romano ha chiesto un risarcimento dei danni patrimoniali subiti. Niente di nuovo, tutto sommato. (A.M. per NL)