Distribuzione e contenuto tornano a braccetto? Abbiamo già avuto modo di parlare su queste pagine di una tattica che i protagonisti, a livello mondiale, del panorama televisivo ampiamente considerato stanno adottando: si tratta della decisione di concludere alleanze, creando così superplayer sempre più forti e incisivi nel mercato.
Si pensi, ad esempio, a Discovery che ha acquisito Scripps Networks Interactive oppure alla Walt Disney Company, che ha raggiunto un accordo per ottenere la 21st Century Fox, allargandosi significativamente. Si tratta di casi che fanno capire come stia cambiando il passo: “together is better” si potrebbe dire.
Ma questo potrebbe non bastare; occorre quindi trovare altre soluzioni, guardare alla situazione anche da una diversa prospettiva. Ecco, allora, che gli OTT stanno mettendo in campo altre pedine nella grande partita volta ad acquisire il più ampio numero di ascolti e, conseguentemente, di entrate economiche. Si tratta di riunire sotto un unico tetto contenuti e distribuzione, superando l’ormai arcaica concezione secondo la quale o si è produttori o si è distributori; un po’ come – in senso opposto – è avvenuto per le ferrovie (dapprima servizi e infrastrutture erano riunite in un unico soggetto, per poi successivamente scindersi, dando la possibilità a terzi di intervenire, anche per agevolare il sistema di concorrenza) o, ancora più da vicino per quanto ci riguarda, la suddivisione tra network (vettore) e content provider (fornitore di contenuti). Qui, però, la questione è più sottile: i big sembrano, infatti, volersi dirigere verso un’offerta a 360 gradi, fornendo ai propri clienti sia il “cosa” guardare, sia il “come” guardarlo, in una promiscuità anche vettoriale. In questa direzione si sta muovendo la casa di Mickey Mouse, che, dopo aver unito i suoi personaggi con quelli Pixar, Marvel e Lucasfilm, si prepara per il lancio – previsto per la seconda metà del 2019 – di una nuova piattaforma di streaming. Come riporta il quotidiano Italia Oggi, è significativo, infatti, che il colosso di Topolino capitalizzi poco più di un terzo del valore complessivo di Facebook (152 miliardi di dollari il primo e oltre 500 miliardi di dollari il secondo). Proprio il fatto che la produzione di contenuti da sola non comporti un ritorno economico soddisfacente, potrebbe essere il motivo che ha spinto la Disney a lanciarsi verso la distribuzione tramite una piattaforma propria. Una nuova sfida, impegnativa – certo – ma che potrebbe rivelarsi vincente.
Si pensi, poi, alla partnership tra Sky e Netflix: attraverso il ricevitore Sky Q vengono raggruppati i contenuti del gruppo della famiglia Murdoch con quelli del colosso dello streaming video on demand e valorizzati ulteriormente dall’innovazione tecnologica che il media centre porta con sé.
Una questione correlata riguarda il pagamento della cessione di contenuti: ossia il cosiddetto “acquisto di prodotto”, a prescindere dal fatto che questo sia nato per la televisione a pagamento o per quella free. Si tratta del motivo per cui Tim e Mediaset non sono arrivati alla conclusione di un accordo (nel dettaglio, il mancato acquisto da parte di Vivendi – primo azionista di Tim – della pay tv Mediaset Premium).
Tra probabili soluzioni e problemi ancora da definire, prosegue la partita per dominare il mercato, agli utenti rimane l’imbarazzo della scelta. (G.C. per NL)