I primatisti di ieri del mercato pubblicitario, stracciati da competitor di oggi, che operano su un piano tecnologico imparagonabile al loro, lanciano l’allarme cercando di coalizzarsi contro il nemico comune, rappresentato dall’insidioso ed inafferrabile Google.
L’allarme arriva principalmente dai principali broadcaster tv, ma trova consensi anche tra i rappresentanti istituzionali riuniti al tavolo dell’assemblea generale di Confindustria Radiotelevisioni, il cui presidente, Rodolfo De Laurentiis, afferma, a riguardo dei cosiddetti Over The Top (Google, YouTube, Facebook, Netflix, Amazon, Twitter, ecc.): "Non sottostanno alle regole degli editori tradizionali" e "restituiscono pochissimo al sistema Paese in occupazione e tasse. Noi chiediamo di poter competere ad armi pari con regole nuove ed eque". "Apple – ricorda De Laurentiis – ha fatturato nel 2013 170 miliardi di dollari: 35 volte il fatturato di Mediaset. Google 60 miliardi di dollari, 17 volte. Il settore media ha perso negli ultimi 5 anni 3,4 miliardi di euro, -35% rispetto al 2008 – rende noto il presidente di Confindustria -. 1,3 miliardi di investimenti sono stati persi solo dalla Tv che è calata del 27% nel periodo. Il peso del calo della pubblicità è stato sostenuto soprattutto dai maggiori broadcaster: i dati di Rai e Mediaset parlano di oltre 200 milioni persi in media ogni anno tra 2008-2013". Gli fa eco Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, che accusa Google e gli altri di "concorrenza sleale" e torna a parlare di "una forma di neocolonialismo nel senso che qui non lasciano nulla in termini di occupazione e fiscali". Confalonieri, da tempo nell’inconsueta veste di rappresentante di un’azienda palesemente ormai vecchia per sgli standard competitivi del mercato 2.0, trova un inconsueto alleato nello storico nemico, il presidente del Gruppo Espresso, Carlo De Benedetti, che dichiara: "Abbiamo tutti paura di Google, l’oligarchia digitale mette a rischio la democrazia – afferma al Forum mondiale degli editori a Torino -. La più grande società editoriale al mondo non potrà mia competere con soggetti come Google. Occorre definire nuove linee certe di collaborazione. È tempo che la politica intervenga". Una prevedibile apertura istituzionale all’appello viene dal sottosegretario con delega alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli. "Non parlerei di neocolonialismo – sostiene -, ma il problema esiste. Occorre rispondere con le regole, anche se è difficile a livello europeo". Giacomelli fa evidente riferimento al semestre di presidenza italiana dell’Ue alle porte, nell’ambito del quale conta di proporre una soluzione a questo e altri temi caldi che possono trovare risposte adeguate solo a livello continentale. Anche perché il tema del sovraccarico di regole che pesa sugli operatori tradizionali anche in termini di maggiori costi a fronte di una carenza di regole per le aziende del web è riconosciuto dalle Autorithy: all’assemblea di Confindustria lo sottolineano sia il presidente Antitrust, Giovanni Pitruzzella, che il commissario Agcom, Antonio Preto. Diametralmente opposta la posizione di Google: la filiale italiana richiama, infatti, il recente intervento sulla Frankfurter Allgemeine del presidente del gruppo, Eric Schmidt, secondo il quale "predisporre regole pesanti" è un approccio che "creerebbe significativi rischi dal punto di vista economico. E soprattutto, creerebbe il deserto in Europa dal punto di vista dell’innovazione. Sono convinto che attraverso accordi commerciali si possa trovare un modello migliore". Cambiano le tecnologie e i contesti, ma l’atteggiamento dei nuovi uscenti non muta: prima si sottovaluta il competitor entrante (ieri erano Mediaset e Sky, ostacolati da RAI e dai grandi quotidiani; oggi sono Google & C.), chiudendo gli occhi davanti al mutamento ineludibile e poi si cerca di fermarlo sul piano politico-legislativo e quindi con interventi di boicottaggio che, regolarmente, si ritorcono su chi li attua. Un esempio su tutti è la vana guerra per l’oscuramento dei contributi audiovisivi di Mediaset e RAI su Youtube, che ha sortito quale unico effetto quello di allontare l’utenza dai due player tv (i migranti da Youtube ai rispettivi portali di videosharing sono insignificanti). Del resto, il finale del film è sempre lo stesso: il mercato (in questo caso addirittura mondiale) decide. E utti, volenti o nolenti, ne devono prendere atto. (M.L. per NL)