Se l’indiscrezione di NL di qualche settimana fa fosse confermata, si tratterebbe veramente dell’uovo di Colombo? O la cura sarebbe peggio del male?
Ci riferiamo, ovviamente, alla ipotesi che la dodicesima rete nazionale (quella che avrebbe dovuto essere impiegata in condominio da Retecapri ed Europa 7 se avessero trovato in tempo un accordo) venga (provvisoriamente) destinata a RAI per sperimentare il DVB-T2 dal 10 gennaio 2024, contemperando l’obbligo in capo alla concessionaria pubblica di dedicare a tale standard un intero mux con l’interesse dell’utenza priva di tv di ultima generazione di continuare a seguire i contenuti di quel bouquet.
Ma quali sarebbero gli effetti di questa scelta?
Il recap
Come sempre, facciamo un recap delle due questioni (l’obbligo di conversione al T2 di un mux RAI e la vicenda della dodicesima rete nazionale) per inquadrare ed interpretare le indiscrezioni.
L’obbligo di conversione al T2 di un mux in capo a RAI
Il nuovo contratto di servizio tra RAI e Ministero delle imprese e del made in Italy, recependo prescrizioni precedenti, imporrà che da gennaio 2024 (dal 10 gennaio, per la precisione) la concessionaria pubblica converta uno dei suoi mux da DVB-T (presumibilmente il mux B) in DVB-T2.
Sistema studiato per T2 attivo in T1 da 3 anni
E ciò per favorire la migrazione del sistema post refarming della banda 700 MHz, studiato per il T2 ma operativo, coi limiti del caso, sia quanto a disponibilità di capacità trasmissiva che diffusivi, in T1.
T2 non significa necessariamente HEVC
La conversione in T2, è bene precisarlo, non necessariamente comporta l’adozione dello standard HEVC (acronimo di High Efficiency Video Coding, standard di compressione video approvato nel 2013, erede dell’H264/MPEG-4 AVC), per il quale, viceversa, non ci sono obblighi temporali di adozione.
I penalizzati
Tuttavia, convertire un intero mux in T2 (non si può operare sui singoli contenuti) comporta l’irricevibilità dei canali trasportati a quell’utenza priva di tv/decoder adeguati al relativo standard (sono T2 ready i tv venduti dal 2017 in poi), così penalizzando una quota più o meno rilevante di pubblico, con discriminazioni per quest’ultimo e per la RAI stessa, che subirebbe un calo d’ascolto sui FSMA veicolati sul multiplexer convertito (da T1 a T2) a vantaggio dei concorrenti privati (Mediaset in primis).
Nessuna proroga alla sperimentazione
Posticipare la sperimentazione, però, non si può, considerato che la fase transitoria avviata col refarming dovrà comunque concludersi auspicabilmente entro il 2025 (quando l’intero sistema dovrà migrare in T2).
Nessun accordo tra Retecapri ed Europa 7
Sul punto, ricordiamo che gli operatori di rete nazionali Premiata Ditta Borghini & Stocchetti di Torino (nota come Retecapri) ed Europa Way (conosciuta come Europa 7), cui in occasione del refarming della banda 700 MHz sarebbe spettato mezzo mux a testa (con un diritto d’uso specifico in capo ad una ed uno generico per lo sfruttamento del 50% della capacità all’altra), nonostante diversi tentativi, non avevano infatti concluso un accordo per la gestione condivisa della dodicesima rete in ambito nazionale.
L’invito formale del Ministero
Conseguentemente, l’allora Mise, in data 20/05/2022, aveva inviato ai due player una lettera di invito a presentare un’offerta per l’assegnazione dell’unico diritto d’uso delle frequenze pianificate per la suddetta rete.
Niente di fatto
Assegnazione diritto d’uso 12^ rete nazionale
La quale aveva pertanto adottato un provvedimento che prevedeva che il diritto d’uso, utilizzabile esclusivamente per l’offerta dei servizi previsti con le frequenze pianificate dal PNAF fosse assegnato mediante procedura comparativa onerosa senza rilanci competitivi.
Apertura ai nuovi entranti
Una procedura cui avrebbero avuto titolo a partecipare tutti i soggetti interessati, anche nuovi entranti nel mercato dell’offerta di capacità trasmissiva su reti digitali terrestri, in possesso dei requisiti previsti dal bando di gara, ad eccezione dei soggetti con divieto di partecipazione.
Apertura a consorzi
La delibera stabiliva altresì la partecipazione di società consortili di cui all’art. 2602 del Codice civile, a condizione che assumessero, a pena di esclusione e revoca, anche successivamente all’aggiudicazione e comunque prima del rilascio dei diritti d’uso, la forma di società di capitali secondo quanto stabilito dall’art. 2615-ter del codice civile (oltre ovviamente a rispettare gli ulteriori requisiti previsti).
Novità per la dodicesima rete
Fatto sta che, successivamente, non si erano registrati altri provvedimenti sul tema (qui per consultare la delibera n. 25/23/CONS). Di qui l’idea – di cui NL aveva dato anticipazione – di sfruttare transitoriamente la rete per la sperimentazione.
Attribuzione transitoria
Ovviamente RAI non pretende un’attribuzione definitiva della risorsa frequenziale della dodicesima rete nazionale, considerato che ciò non sarebbe possibile per vincoli sul numero di reti, ma uno sfruttamento temporaneo, nelle more della decisione finale sul suo impiego, così salvando capra (mux B) e cavoli (obbligo di sperimentazione).
Il mare di tempo
La parola finale ovviamente spetta ad Agcom e MIMIT, che però, secondo alcune indiscrezioni, potrebbero essere propensi a concederne lo sfruttamento.
Gli effetti
Generando però alcuni effetti non di poco conto. Anzi, secondo alcuni osservatori, peggiori del male da curare.
Affossamente del T2
La prima conseguenza sarebbe l’affossamento del T2, considerato che essendo i contenuti veicolati sulla dodicesima rete non esclusivi (continuando ad essere distribuiti “anche” in T1 sul mux non convertito) l’utenza non avrebbe alcun interesse a sostituire i televisori, favorendo lo sviluppo dell’evoluzione dello standard DVB.
Limiti di diffusione della dodicesima rete
Senza considerare, naturalmente, gli enormi limiti di diffusione che la dodicesima rete avrebbe rispetto a quella esistente, prevista per la sperimentazione.
Cui prodest?
Vincoli che renderebbero i contenuti T2 fruibili solo ad una quota molto più contenuta di utenti rispetto alle previsioni a monte della decisione.
Addio sviluppo della dotazione frequenziale del DAB
La seconda conseguenza sarebbe l’impossibilità di sfruttare le frequenze della rete non assegnata per lo sviluppo del DAB, compromesso in vaste aree italiane (come la costa adriatica) dall’indisponibilità di risorse radioelettriche che hanno condotto, appunto, ad una pianificazione provvisoria.
Precedente giuridico
Invece, la terza conseguenza sarebbe estremamente positiva, perché costituirebbe un importante precedente.
Le altre risorse inutilizzate
Un precedente che vincolerebbe finalmente il Ministero e l’Agcom a rivedere l’incomprensibile posizione di intransigenza manifestata verso gli operatori di rete che avevano chiesto di impiegare le risorse frequenziali non assegnate nei bandi per il DTT in occasione del refarming della banda 700 MHz per risolvere problemi di interferenze o copertura. (M.R. per NL)