Per ora il DTT è stato quasi una scampagnata, almeno tecnicamente parlando (sul piano editoriale/commerciale è un altro discorso). Sardegna, Val d’Aosta e Piemonte occidentale sono, infatti, territori (più o meno) protetti naturalmente contro le interferenze (così come lo sarà il Trentino) e, soprattutto, interessati da un numero di emittenti locali limitato (per via della selezione naturale degli ultimi 20 anni). Non sarà altrettanto per la Campania, per il Lazio e per la Lombardia. In questo ultimo caso, per esempio, a gravare sulla migrazione tecnologica vi è la presenza di una quarantina di emittenti locali e di tutti gli operatori nazionali, che si somma alla tipicità orografica che, come noto, necessita di una pianificazione interregionale che contempli anche le province del Piemonte orientale (Alessandria, Asti, Biella, Novara, VCO, Vercelli) ed una dell’Emilia (Piacenza), lasciando esclusa dal novero della cd. Grande Lombardia solo Mantova (che sarà pianificata con altra area tecnica). Del resto, per le emittenti lombarde illuminare Novara o Verbania è da sempre considerato inevitabile (salvo castrare gli impianti da Valcava o dalla sponda lombarda del lago Maggiore): da ciò discende che se un canale è destinato ad un’emittente piemontese per illuminare Novara, a stento esso potrà essere riciclato da Valcava con una dignità di servizio su Milano, ma potrà, al più, essere recuperato per il servizio in pianura, rendendo la pianificazione preventiva di una laboriosità mostruosa. Non solo: la vicinanza della Svizzera limiterà l’utilizzo dei 55 canali previsti e oltretutto dovrà essere considerata la detrazione frequenziale per quella genialata del "dividendo digitale". Ad acutizzare le già malagevoli cose, ci mettiamo che il Ministero dello Sviluppo Economico – Comunicazioni probabilmente nemmeno ha piena contezza della consistenza (e forse addirittura del numero) degli impianti televisivi attualmente in esercizio in Lombardia (stanti i noti problemi operativi del locale Ispettorato Territoriale, cui ha dovuto spesso rimediare la magistratura) e che alcune frequenze ridondanti sono state destinate da alcuni editori a nuovi operatori di rete, così accrescendo il numero di soggetti che siederanno intorno al tavolo tecnico di pianificazione con la manina alzata in sede di spartizione dei canali. Considerato che i 25 nazionali – compresi quelli che oggi la copertura del territorio nazionale la vedono col binocolo e che da questa vicenda trarranno i maggiori vantaggi – non cederanno nemmeno una delle loro risorse (già individuate in sede di pianificazione della Val d’Aosta e del Piemonte occidentale) per favorire le locali e che comunque vi è una riserva di legge di canali da destinare a queste ultime, appare sin d’ora ostico gestire una coperta manifestamente troppo corta. Delle due quindi l’una: o si punta a incoraggiare (o a coartare) le emittenti a dividersi i mux (così però privando i concessionari dell’opportunità di diventare operatori di rete a tutti gli effetti, in spregio alle garanzie fino ad ora pervenute dalle istituzioni, nonostante, va detto, una norma di legge che così garantista non è mai parsa…) o, più italianamente, si mira al recupero spasmodico della stessa risorsa frequenziale in sottobacini rispetto a quello principale (così giungendo al paradosso che quel nanismo imprenditoriale che il digitale terrestre avrebbe dovuto combattere avrà, di fatto, una stimolazione). Una brutta gatta da pelare per Paolo Romani, che certamente dovrà trovare lestamente (lo switch-off del Piemonte orientale e della Lombardia è previsto per il primo semestre 2010) una soluzione se non vorrà essere tacciato di aver, se non scavato, quantomeno coperto la fossa alle emittenti locali per favorire la "multiplexazione" di Mediaset, RAI, ecc.