Il giornalista del medium tv de Il Sole 24 Ore, Marco Mele, dedica attenzione agli effetti del digitale terrestre sul proprio blog (Media 2.0). E mette in guardia su quegli aspetti della nuova tecnologia destinati a travolgere le emittenti locali, che pare avessero sottovalutato le conseguenze secondarie del nuovo formato. Vero, come vero è probabilmente troppo tardi per tornare sui propri passi. Peggio per loro, verrebbe da dire: la prossima volta gli editori locali sceglieranno meglio i propri consiglieri. Peccato, però, che non ci sarà una prossima volta.
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Niente è come prima: è vero, rischia di essere peggio di prima
di Marco Mele
Se c’è una vicenda senza un prima, è proprio quella del digitale terrestre. Il cambiamento portato dal digitale è indubitabile ma il modello italiano si basa sulla continuità tra assetto analogico e assetto digitale. Lo stabilisce la legge Gasparri, quando autorizza a trasmettere in digitale solo chi già lo fa in analogico e prolunga le concessioni esistenti sino al passaggio finale al digitale.
Niente è come prima ma può andare peggio. I primi dati degli ascolti in Sardegna lo dimostrano: come in tutta Europa, le principali reti generaliste perdono una quota di ascolto a vantaggio di canali specializzati, tematici o di nicchia. In Francia cinque editori diversi, pubblici e privati, stanno lanciano cinque canali in Alta Definizione, tanto per fare un esempio.
In Italia è Rai4 che recupera quanto perduto da Rai1 e Rai3 (novembre è il mese dell’Isola su Rai2…). Mediaset deve cedere ascolti a Sky perchè ha puntato su un’offerta prevalentemente a pagamento, che non “paga” in termini di ascolto ma semmai di introiti e dividendi.
L’alternativa alla tv generalista finisce per diventare il quarto, quinto o sesto canale dell’editore generalista. Rai, Mediaset e Sky, secondo l’ultimo Rapporto sull’Industria della Comunicazione dello Iem (Istituto Economia dei media) controllano il 92% delle risorse del sistema.
Europa 7 è stata sistemata con un canale VHF che, al massimo, potrà coprire attorno al 70% della popolazione con un costo elevato per costruire la rete.
Mediaset ha ancora molte frecce nel suo arco: non ha lanciato l’annunciato canale Bis accanto a Iris, bello ma elitario, ed è entrata in vigore la modifica al Regolamento sulla pubblicità che le consentirà, tra l’altro, di fare autopromozione ai suoi canali gratuiti sui canali analogici (autopromozione non inclusa nell’affollamento pubblicitario).
Niente è come prima, è vero: i satelliti minori del sistema tv faticano a restare sul mercato. Rete A-Alla Music è in vendita ma non trova compratori. La 7 idem e forse potrebbe trovarli perchè le sue frequenze fanno gola, non certo il posizionamento e le quote di mercato. Tantomeno i suoi conti. C’è pure chi rinuncia dopo aver vinto la selezione per trasmettere nel 40% della capacità trasmissiva di Rai e Mediaset, come Nbc-Universal. Air Plus compra la pay-per-wiew da Telecom Italia Media ma ha già ridimensionato i propri programmi.
Le tv locali si sono accorte adesso (assemblea della Frt, intervento di Maurizio Giunco) della trappola mortale del digitale terrestre: la sperequazione delle risorse analogiche permetteva loro comunque di sopravvivere. Ora ci vogliono soldi “veri” per convertire la rete regione per regione e soldi per produrre più contenuti. Nè, a questo punto, ci sono molti acquirenti: Mediaset ha già fatto il pieno, Sky non può operare su frequenze terrestri sino al 2011, la Rai cerca soldi per convertire gli impianti che ha. Si rischia un boom del porno, tra digitale terrestre e satellitare.
I produttori di contenuti cercando di alzare la voce, di far capire che, se gli acquirenti non sono in competizione tra loro, dopo che Mediaset ha acquistato alcuni tra i maggiori produttori (Endemol, TaoDue, Medusa, Fascino, Mediavivere), è impossibile recuperare quote di diritti e rafforzarsi a livello di capitale dovendo dipendere da un solo forno, o un forno e mezzo con le poche fiction di Sky.
La logica – imposta agli editori di canali tematici e ai produttori di contenuti – è quella del più forte, è quella del “prendere o lasciare (o, meglio, “prendere o chiudere)”. Antitrust e Agcom cosa fanno? Regolano i margini, i dettagli, le sfumature mai la sostanza della concentrazione televisiva (e l’assenza di pluralismo nell’informazione).
Al posto del duopolio c’è un tripolio ma sempre una struttura oligopolistica rimane. E le risorse del sistema – chiedere alla Siae per i diritti d’autore – si riducono rispetto al resto d’Europa, perchè i tre poli possono impostare politiche di cost saving a scapito del resto del settore e al riparo dalla concorrenza. Se poi Mediaset e Rai si accordano con Sky, il cerchio è chiuso. Se, invece, Mediaset e Rai sfidano Sky a partire da Tivù, la piattaforma satellitare che partirà verso maggio-giugno, si avrà una guerra interna al tripolio. Questa è la viariabile principale che ci attende…
Tutto questo riuscirà a emergere alla Conferenza Nazionale di Roma? Qualche dubbio è lecito.
In ogni caso, è vero, Niente è come prima. Rischia di essere peggio di prima.