La televisione digitale terrestre concepita su modello berlusconiano è morta.
Dopo pochi mesi di esercizio – peraltro su parte del territorio nazionale – il digitale terrestre (…) ha già dimostrato tutto il suo fallimento come processo di innovazione delle comunicazioni del nostro paese e messo bene in evidenza come esso sia stato pensato e gestito come un’occasione strategica per realizzare un monopolio di famiglia con la conseguente distruzione del cosiddetto libero mercato. Le tecniche del grande imbroglio (come lo definimmo ai suoi esordi) sono state le più tradizionali dell’affarismo truffaldino, lontane da una sana amministrazione pubblica fatta nell’interesse del cittadino-utente. Innanzi tutto una campagna mediatica tesa a fuorviare l’opinione pubblica sul reali obiettivi ed imporre convinzioni emergenziali giustificanti un decisionismo veloce ed autoritario al fine di imporre nel minor tempo possibile la soluzione voluta per non lasciare il tempo agli interlocutori di pensarci troppo. Si è detto in tutti i modi che per il cittadino, seppur doveva affrontare delle spese, ci sarebbe stato un notevole miglioramento dell’offerta televisiva con l’aumento dei canali. Niente di più falso. Nessuno oggi, ha più il coraggio di riaffermare questa grande bugia su cui però resta fondato il digitale berlusconiano. Infatti, tutti gli utenti e tutti gli editori televisivi locali nelle regioni in cui è avvenuto lo switch-off, hanno toccato con mano come una lista di 400 emissioni non costituisce pluralismo dell’offerta o dell’informazione, ma la sua negazione per la sua totale ingestibilità (…). Una tecnica sottile per costruire di fatto una “rendita di posizione” per quel primo range numerico, compatibile con la sopportabilità e la pazienza dell’utenza; una rendita di posizione che oltre ad essere la negazione del cosiddetto libero mercato e della concorrenza realizza anche di fatto un ostacolo al pluralismo nell’informazione trasformandolo in monopolio occulto: una rendita di posizione costruita per essere messa a disposizione delle emittenti del monopolio di famiglia. La storia del Logical Channel Number con tutte le contorsioni fatte dall’Autorità delle Comunicazioni per definirne i criteri più ad personam possibili, è stato un campo di battaglia che ha dimostrato il vero obiettivo del digitale terrestre formato Berlusconi. Ed ancora, tutti gli utenti hanno potuto abbondantemente verificare che la moltiplicazione delle emissioni non è andata di pari passo con quella dei programmi nel senso che sono quasi sempre i medesimi che girano, magari spostati di un’ora. E in questo giuoco la pietra dello scandalo non viene dall’emittenza locale, ma dalla potente Mediaset e dalla blasonata Rai che ha dato luogo ad un solo programma meritevole di attenzione, che è “Rai Storia”, il quale si vale sì di vecchi filmati, ma essi hanno almeno il pregio di essere educativi e non contrabbandabili per altro. Risultato: il trust privato di famiglia passa da 3 a oltre 50 emissioni, con buona pace della Costituzione Repubblicana e le sue limitazioni; con il telespettatore impossibilitato a scegliere che è costretto a vedere solo i primi programmi nazionali, cioè quelli direttamente o indirettamente controllati dalla famiglia. Il 70% delle emittenti locali ultra-ventennali sono al tracollo economico con prospettive di fallimento per effetto del drenaggio pubblicitario di quel poco che rimane dopo le tante offerte nazionali berlusconiane e per l’eliminazione dei rimborsi editoriali avvenuta secondo un piano non casuale di progressiva asfissìa. Si è anche sostenuto che tutto ciò era obbligatorio, inevitabile, perché era l’Europa a imporlo. Anche in questo caso la tecnica del grande imbroglio è stata da manuale, travisando anzitutto il vero significato della indicazione comunitaria. Si è accreditata l’idea che il passaggio al digitale non fosse solo la pura e semplice trasformazione della tecnica di emissione, da analogico a digitale come in verità l’Europa chiede, ma che ciò comportava automaticamente la messa a disposizione dei soggetti emittenti l’utilizzo di tutta la banda di frequenza precedentemente usata in analogico. Si sono illusi così i soggetti destinati ad essere la carne da macello dell’operazione che per loro arrivava il regno di bengodi e che anche il minuscolo televisionaro di paese sarebbe diventato un piccolo Berlusconi con tanti canali a disposizione. (…) Alla luce dell’esperienza fatta, però, non vi è un titolare di emittente televisiva locale che non maledica il passaggio al digitale ed i suoi artefici, che non rimpianga l’analogico, e che non chieda una soluzione al grande guaio creato, anche se con la rassegnazione dovuta al ricatto forte, secondo cui non si può più (?) tornare indietro. Che fosse un’illusione costruita ad arte e non un obbligo europeo basterebbe vedere come negli altri Paesi europei, dove non governa un imprenditore monopolista e ingordo che il passaggio al digitale non sta espungendo dal mercato la libera editoria e la libera informazione, ed ancor più non si sono creati monopoli da 50 televisioni. Se tutto questo lo si vuole chiamare apertura del mercato, allora siamo curiosi di sapere cosa deve accadere per usare i termini distruzione del mercato e monopolismo. D’altra parte cosa ci si poteva aspettare di diverso? (…) Ma ora, a scempio avvenuto, cosa si può fare? Quale può essere una soluzione possibile che risolva almeno in parte i problemi e che risulti praticabile ed applicabile? Tornare all’analogico, come chiede più di qualcuno per impedire la frana? Beh, forse questo non è più possibile, ma al contempo non è affatto detto che il passaggio al digitale debba continuare così. Ed allora qualche considerazione e qualche proposta su cui organizzare la resistenza. Se si ragiona in termini di mercato, non vi è dubbio che le emittenti e principalmente quelle locali hanno di fronte a loro solo la via della riduzione dell’offerta innanzitutto nazionale. Qualcuno spera che con il fallimento degli altri si riapra il mercato per loro. Nulla di più falso, di fronte al fallimento delle locali, le nazionali saranno pronte ad assorbire frequenze e risorse. Una soluzione vera sarebbe, se possibile o imponibile, quella che hanno insegnato i produttori di arance siciliane, i quali per mantenere il mercato, non raccoglievano la produzione eccedente, anzi, sotterravano il già raccolto con i trattori. Certo, i campi sono diversi, ma non è detto che non vi siano altre strade se gli operatori locali ovvero la loro la maggioranza, lo vorranno. Per esempio, poiché non vi è dubbio che nelle televisioni la logica dei soggetti operatori di reti di comunicazioni e di produttori di contenuti deve essere necessariamente coniugata con il diritto all’informazione e le sue riserve costituzionali, vanno necessariamente previste regole e limiti alla gestione dei mux. Come anche è evidente che gli effetti sull’informazione di una emittente nazionale non sono gli stessi di una locale. Si potrebbe proporre per un ribilanciamento del mercato e per il rispetto dei dettati costituzionali sull’informazione che: 1) venga fissato il numero massimo di emissioni televisive in chiaro possibili per mux sia nazionali che locali, magari risolvendo anche la diversità di ampiezza dei diritti d’uso tra la III e la V banda; 2) venga fissato, per i mux nazionali, il limite di una sola emissione televisiva in chiaro in proprio, più, per un allargamento compatibile del mercato, una seconda locabile a terzi non collegati, mentre le altre disponibilità per le televisioni a pagamento e trasporto dati. Forse così, insieme ai divieti già decisi su ogni forma di clonazione, si otterrebbe una forte riduzione della confusione dell’offerta in grado di riattivare un mercato altrimenti bloccato. Da ultimo, ma non meno importante, “condizionare” anche con ricorsi al TAR, la servile proposta dell’Autorità delle Garanzie nelle Comunicazioni riguardante l’LCN, che intende perpetuale le illegittime rendite di posizione. Va imposto il principio che una Ch-lista deve essere fatta per l’utilizzo e gli interessi degli utenti e non già per gli interessi del monopolio di famiglia. Il che significa una lista divisa per categorie di scelta dell’utente, che comprenda tutti, nazionali e locali, poiché solo così l’utente sarà in grado di esercitare la sua scelta, anche digitando tre numeri. Soluzione che non si capisce perché fino ad ora sia stata osteggiata dalle emittenti che temono di non essere selezionate se non sono ai primi posti, fornendo il destro all’Autorità per emanare delibere confuse, contorte e distorsive del mercato. (Bruno De Vita*)
* Anticipazione per NL da Nuove Antenne (periodico dell’associazione di categoria Conna) di settembre, sul quale potrà essere letto l’articolo integrale
(…) = omissis (integrale su Nuove Antenne di settembre 2010)