Una piccola soddisfazione per questo periodico: vedere che alcuni dei tanti allarmi pubblicati da qualche mese a questa parte sono stati fatti propri anche da grandi osservatori.
L’articolo del Corriere di oggi, anche se comprensibilmente privo di precisione tecnica, fa capire come il tanto osannato digitale terrestre rischi di essere un gigantesco flop.
Corriere della Sera del 30/01/2009 – di Aldo Grasso
Un dubbio, un forte dubbio, sta serpeggiando fra gli operatori del settore: a Mediaset qualcuno non ci dorme la notte; in Rai dicono che non è colpa loro, che se non ci fosse stata di mezzo l’imposizione dell’Unione europea…; al ministero rassicurano, non potendo fare altro. Il dubbio nasce dal fatto che, dopo infiniti rimandi, il digitale terrestre incontra più difficoltà del previsto e che, alla fine, rischia di rivelarsi per quello che è: una tecnologia obsoleta, costosa, limitata. Quello che l’ex ministro Gasparri presentava come il Paradiso terrestre delle comunicazioni pare ogni giorno di più un inferno. La messa in opera del Dtt è in sofferenza, come testimonia la Sardegna, dopo lo switch off di ottobre, lo spegnimento della tradizionale tv analogica e il passaggio coatto alla nuova tecnologia. In molte zone ci sono seri problemi di ricezione: non si vede ancora il nuovo ma non si vede più neanche il vecchio. Della nuova situazione ha approfittato Sky, aumentando il normale trend dei propri abbonamenti sull’isola. Che il passaggio da una tecnologia di vecchio tipo a una nuova comportasse una serie di problemi lo si sapeva, succede in tutti i campi. C’è molta confusione sui decoder (quelli comprati a minor prezzo non danno garanzie di affidabilità, alcuni non hanno nemmeno gli standard europei e quindi non riescono a captare le frequenze Vhf, su cui trasmette la Rai), la sintonizzazione dei canali non è impresa facile, molte antenne vanno sostituite o ripuntate e comunque liberate dei vecchi filtri. Nei centri urbani i risultati cominciano a dare i loro frutti e dove prima si vedevano 20 o 25 canali adesso se ne possono vedere 80, con una migliore qualità dell’immagine. Ma i veri problemi di fondo sono altri, due in particolare. La tecnologia del Dtt è una tecnologia pesante, ha bisogno di molti trasmettitori, più potenti e più capaci dei mille e mille vecchi tralicci con cui, in cinquant’anni di storia, la Rai è riuscita a «illuminare» l’intero Paese.
È vero, come sostiene qualcuno, che anche altri Paesi europei hanno avuto problemi nel passaggio dall’analogico al digitale ma nessun Paese europeo ha la struttura orografica dell’Italia. C’è tutto un fiorire di aneddoti e di leggende sulla straordinaria bravura dei tecnici Rai nel portare il segnale nelle più sperdute e inaccessibili zone delle valli alpine e della dorsale appenninica. Adesso il problema si ripropone, più grande ancora. Come dimostra appunto il caso dell’esperimento Sardegna. E quando, fra poco, toccherà alla Valle d’Aosta, al Piemonte, al Trentino, alla Campania cosa succederà? A fronte di questi intoppi, per altro prevedibili, c’è da registrare un’aggiunta importante: per mantenere attivi i trasmettitori ci vuole un enorme impiego di energia in un paese dove l’energia si compra a caro prezzo. Se si spegnessero tutti i trasmettitori si potrebbe tranquillamente alimentare una città, contribuendo a diminuire l’inquinamento elettromagnetico. Senza contare, al contrario, che il segnale via satellite ha bisogno di minore energia. Il secondo grande problema è questo: il Dtt è la conseguente evoluzione del segnale analogico; si pensava quindi, ragionevolmente, che il passaggio fosse più naturale, meno traumatico, specie in regioni pianeggianti. Con un semplice decoder l’utente trasforma il vecchio televisore in una macchina delle meraviglie. Il che è vero, ma solo in parte. Senza entrare troppo nello specifico, il Dtt è una tecnologia limitata, perché riesce a fornire un numero alto ma pur sempre contenuto di frequenze. Un esempio: in questo momento va in onda il Grande Fratello, un programma la cui caratteristica principale è che le telecamere nella casa romana sono accese 24 ore su 24. Su Sky c’è un canale apposito (Sky Show, 116) per vivere in diretta questa discussa esperienza. Il Dtt ne propone addirittura due, di canali: Extra1- Premium ed Extra 2-Premium. Il Dtt è più ricco del satellite? No, per niente. Su Sky Show c’è un tasto verde con cui si possono scegliere, senza cambiare canale, ben quattro inquadrature differenti, con i rispettivi sonori. Il Dtt, per fornire due inquadrature differenti, deve impiegare non uno ma due canali. Il Grande Fratello può apparire un esempio poco significativo («E chissenefrega di vedere il GF!») ma se noi ragioniamo sul futuro della tv le cose si complicano non poco. La tendenza in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti, è quella di offrire anche programmi in Alta Definizione. Che è uno strabiliante modo di vedere la tv in grado di cambiare radicalmente le nostre abitudini, non solo per lo sport o per il cinema.
Ma se, per ipotesi, si cercasse di portare l’HD sul Dtt i canali si ridurrebbero drasticamente, perché l’Alta Definizione occupa molto spazio. E poi non si era detto che l’etere bisognava riservarlo alla telefonia? L’Italia non è un paese cablato come gli Stati Uniti, o lo è solo parzialmente. A New York, con circa cento dollari al mese, ci si può collegare al cavo ed avere, contemporaneamente, i servizi televisivi (un’infinità di canali, a secondo del tipo di abbonamento) e quelli telefonici, compreso Internet. L’ideale per l’Italia sarebbe l’introduzione del WiFi, per poter usufruire dei vantaggi della Rete in ogni situazione, per facilitare l’integrazione fra televisore, pc e palmare. O la banda larga via satellite. C’è infine un problema di investimenti: impiantare il Dtt terrestre costa. Bisogna comprare nuove frequenze, bisogna alimentare i trasmettitori, bisogna programmare nuovi decoder interattivi, bisogna… ma in Rai non c’è una lira. Non a caso lo sviluppo del Dtt è asimmetrico, sia dal punto di vista tecnologico che da quello della programmazione. A parte il piccolo miracolo di Rai4, Mediaset è molto più avanti, è come se, paradossalmente, si dovesse tirare dietro il suo competitor (o presunto tale, visto che nel frattempo il posto è stato occupato da Sky). Mediaset sul Dtt ha tre ottimi canali (Mya, Joy e Steel) ma fatica a dare loro la visibilità che meritano. Quanto tempo ci vorrà ancora perché questi tre canali entrino nelle nostre abitudini visive? Per questo, l’invito a pranzo di Fiorello da parte del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi va letto in maniera meno folcloristica di come è stato fatto. Per questo, Mediaset sta pensando di coinvolgere la Rai in una nuova avventura satellitare, Tivù Sat (48% Mediaset, 48% Rai, 4% La7). Eutelsat ha già pronto un satellite con nuovi trasponder, non bisognerà nemmeno spostare la parabola di Sky. A quel punto che fine farà il «vecchio» e costoso digitale terrestre?
Aldo Grasso