Potrebbe essere decisiva per l’equilibrio televisivo italiano, e in particolare per quello locale, la settimana che ci attende.
Non solo perché martedì 16 si riunirà a Roma la task force ministeriale per il passaggio al DTT della macroarea del nord Italia (Lombardia, Piemonte orientale, Emilia Romagna, Veneto, Friuli, Liguria), che inizierà il 15 settembre (con Lombardia e Piemonte orientale) e si concluderà il 20 dicembre (con la Liguria), ma anche in quanto, nei prossimi giorni, potrebbe essere posto il primo paletto per la definizione della controversa vicenda del logical channel numbering (LCN). I più attenti lettori di questo periodico ricorderanno infatti che il commissario Agcom Roberto Napoli, a fine gennaio, aveva informato che entro il 4 febbraio l’Autorità avrebbe concluso l’istruttoria sugli LCN (Del. 647/09/Cons) avviata a seguito della presentazione della proposta di autoregolamentazione di DGTVi ed avrebbe approvato, entro il 15 febbraio, il provvedimento recante i principi regolamentari sull’ordinamento automatico dei canali, che sarebbe entrato in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. In realtà, detto procedimento, avviato ai sensi dell’art. 5 del regolamento ex Del. 646/06/CONS, era esclusivamente finalizzato alla verifica del rispetto dei principi di cui all’articolo 43 del D. Lgs. 177/2005 (Testo Unico della Radiotelevisione) dell’accordo sull’ordinamento automatico dei canali della tv digitale terrestre notificato all’Autorità dall’associazione DGTVi, sicché chi si fosse aspettato una norma cogente sarebbe comunque andato incontro ad una delusione. Così, sotto il profilo fattuale, il provvedimento dell’Agcom, con ogni probabilità, non porterà nulla di dirompente, anche perché, come abbiamo spiegato su queste pagine in più occasioni, l’ente di garanzia è, allo stato, totalmente privo di poteri sanzionatori sulla questione e quindi nemmeno sarebbe in grado di dirimere i numerosi contrasti sorti tra gli operatori (i cd. “conflitti di attribuzione”, che impallano i decoder alla presenza dello stesso LCN da parte di programmi diversi), pur potendo adottare un’apposita regolamentazione. Tuttavia, se il decreto legislativo di recepimento della direttiva media UE (cd. Decreto Romani) passasse nell’attuale (ri)formulazione – l’esame del Consiglio dei ministri è calendarizzato per il 18 febbraio – il quadro giuridico potrebbe mutare sensibilmente. E ciò perché Agcom, seppure in tandem con il MSE-Com, potrebbe allora avviare una seria attività di controllo sul magmatico settore dell’ordinamento automatico dei canali, che sta dilaniando soprattutto il mondo delle tv locali, le quali, dopo aver dormito (insieme alle loro rappresentanze) per quattro anni, ora strillano dichiarandosi rovinate dall’anarchia numerica. Non che, in verità, andrebbe meglio se (come probabilmente sarà) passasse la soluzione per l’ordinamento automatico dei canali digitali basata sulle due cifre, tarata essenzialmente sulle necessità dei player nazionali. Come abbiamo più volte fatto presente, le proposte di regolamentazione poste al vaglio di Agcom (o almeno quelle rese note) portano in sé geni analogici. Non si capisce difatti in base a quale ragione si debba per forza ricorrere al passato analogico per regolare un settore, qual è quello della tv digitale, che si fonda su principi del tutto dissimili. La sequenziazione dei programmi analogici si è formata spontaneamente attraverso una scala di gradimento degli utenti, che, nel tempo, hanno creato liste di selezione dei canali, annotandole elettronicamente sul proprio telecomando, in tutta libertà. Ora, invece, si vorrebbe pressare per la costruzione di liste preconfezionate, con l’evidente scopo di approfittare della ritenuta scarsa propensione del telespettatore a sequenziare manualmente i programmi. Un’imposizione, quindi, che, ineluttabilmente, finirà per creare rendite di posizione, favorendo la frequentazione della prima trentina di programmi, poiché è statisticamente provato che dopo le tre decine l’utente cessa lo zapping tra i canali. Una soluzione, quella delle due cifre, che finirà per premiare certamente tutte le reti nazionali ed al più una decina di grandi stazioni locali per area tecnica. Ma, soprattutto, una proposta di regolamentazione per natura statica e non dinamica (al variare del contenuto non cambia la numerazione, creando così una rendita di posizione), limitando i vantaggi per gli utenti (e stupisce che le associazioni dei consumatori, di norma attente, non abbiano colto questa sfumatura). Si pensi solo al criterio di attribuzione degli LCN alle tv locali attraverso un punteggio basato sulla media delle ultime tre graduatorie dei Corecom per i contributi economici ex L. 448/2001: a parte il fatto che così facendo chi avesse avuto la sventura di avere gli ultimi tre esercizi sfavorevoli sarebbe vita natural durante penalizzato rispetto a chi, viceversa, magari per condizioni fortuite, si fosse in quegli anni ben posizionato, e che tale proposta reca seco il seme dell’oligarchia (chi ha più soldi dallo Stato prende anche le posizioni LCN migliori), come la mettiamo coi nuovi player? Li condanniamo al nanismo imprenditoriale di gasparriana memoria? Infatti, esaminando le proposte di regolamentazione rese note, non si comprende come potrebbe essere garantita una competizione ad armi pari tra gli attuali fornitori di contenuti e i nuovi entranti (che, per esempio, opereranno su network provider destinatari del “dividendo digitale”), che, giocoforza, troverebbero disponibili solo le numerazioni meno appetibili, in quando residuate dalla cernita degli operatori esistenti, creando così le premesse per un ipotetico futuro, ricco, mercato della compravendita delle posizioni LCN. Infatti, se è pur vero che il piano di numerazione automatica dei canali sarà certamente proposto come transitorio e soggetto a periodica revisione, ben ci insegna l’esperienza dell’occupazione delle frequenze come, in Italia, non ci sia niente di più definitivo del provvisorio (la nostra cultura dei diritti acquisiti è insuperabile). Nondimeno, la scelta di una ripartizione numerica dei programmi sulla base di una eredità analogica contrasta con una logica di catalogazione per argomenti, che invece dovrebbe contraddistinguere la maggiore offerta tv digitale (è tranquillamente verificabile attraverso l’esperienza di Sky come il sistema a tre cifre faciliti la segmentazione per contenuto dei programmi, a vantaggio dei fornitori di contenuti e degli utenti). E ancora, non può sottacersi come si sia in procinto di assistere alla competizione non solo tra vecchi e nuovi contenuti, ma anche tra piattaforme digitali (sat, dtt, IP/Web tv), tutte basate su schemi di ordinamento automatico dei canali che rischiano di essere trattati diversamente. La soluzione ideale – abbiamo più volte scritto – deve quindi essere trasversale a livello tecnologico (multipiattaforma, prevedendo un identificativo numerico del programma che prescinda dal vettore), dinamica (per scongiurare la staticità che contrasta coi principi dinamici dei media digitali) e neutrale (per evitare un apartheid televisivo). Peraltro, si auspica che le indicazioni di Agcom possano chiarire anche il senso del contenuto dell’art. 29-bis, comma 10, introdotto dalla delibera 109/07/CONS, che vorrebbe i "piani automatici di ordinamento dei canali della televisione digitale terrestre, satellitare o via cavo" attuati dagli "operatori" e non già dai fornitori di contenuti. Una stortura che andrebbe corretta, per evitare, per esempio, che un medesimo programma diffuso da più operatori di rete locali abbia LCN diversi nelle varie aree del territorio nazionale, con ricadute gravissime in termine di promozione all’utenza.