Fino ad ora, per lo più, le diverse piattaforme distributive della televisive digitale, terrestre, satellitare e (in misura enormemente inferiore, al momento) via internet (IPTv e Web Tv), sono state viste come alternative, cioè mere attività tra loro concorrenziali (chi sceglie l’una, in genere, scarta le altre).
L’evoluzione tecnologica che nel 2009 ha marcatamente interessato il settore della distribuzione dei programmi radiotelevisivi sui tre formati ha però dimostrato che nel futuro non sarà più così. Che DTT e Sat fossero integrativi in termini di diffusione era apparso già chiaro in occasione dei primi switch-off, allorquando per la ricezione nelle aree minori o disagiate dal punto di vista radioelettrico, l’utenza era stata indirizzata al provider satellitare creato dai maggiori player della tv digitale terrestre italiana, Tivùsat, quando i telespettatori non si erano già avviati verso l’offerta di Sky. Tuttavia, è chiaro che, in questo caso, l’integrazione era solo funzionale alla diffusione e quindi da intendersi come complementare nella direzione del supporto del Sat al DTT (presumibilmente la piattaforma distributiva dominante, almeno negli intenti dei promotori di Tivùsat). Se, infatti, la distribuzione del segnale DTT può essere compensata in molte aree difficoltose del territorio attraverso il vettore satellitare con programmazione in mirroring, è remota l’ipotesi di uno scambio di favori. Infatti, tranne casi eccezionali, cioè qualora sia impossibile installare una parabola o non si possa ricevere il segnale dal satellite, il DVB-S non necessità di integrazioni da parte del DVB-T, sicché, per esempio, chi attingesse a Tivùsat, fatta salva l’offerta televisiva nazionale e locale che non risiedesse anche sul provider Sat, non avrebbe alcun interesse ad alternare la ricezione da una piattaforma all’altra. Diverso, invece, il caso della ricezione tv mobile, per la quale – allo stato dell’evoluzione tecnologica – il satellite non costituisce un vettore adatto allo scopo, sicché la tv terrestre ha una sostanziale egemonia (sia con gli standard DVB-T che DVB-H), che, tuttavia, potrebbe presto essere insidiata dall’evoluzione dello streaming video sugli smartphone, che, nella loro ultima generazione, sono a tutti gli effetti dei televisori digitali portatili in potenza, che attingono i contenuti dal web. Sempre sul fronte dei contenuti, va osservato come la complementarietà tra le tre piattaforme distributive sia nulla per quanto attiene ai programmi "free", "pay tv" o "pay per view", mentre vi sono forti segnali di funzionalità reciproca nell’ambito del "video on demand" (VOD). Ed è ormai chiaro che è proprio su quest’ultima modalità di fruizione dei programmi che si concentreranno i maggiori sforzi degli operatori e le più importanti attenzioni dei costruttori di apparati. Tecnicamente il VOD presuppone una differita tra ordine di prenotazione e fruizione, in quanto capovolge il rapporto tra emittente e ricevente: nella tv classica (free, pay o pay per view), a prescindere dalla piattaforma, è l’operatore che decide il momento della trasmissione del programma e l’utente vi si adegua (per esempio, con la pay per view lo spettatore paga per il singolo programma che desidera vedere, ma è la stazione emittente che decide quando ha luogo la trasmissione); nell’utilizzo “on demand” è invece il telespettatore che accede al catalogo del broadcaster e ordina il download del programma desiderato, al termine del quale (o in un momento successivo) vi assiste, attraverso una vera e propria visione personalizzata. E qui iniziano le differenti potenzialità tra video on demand via DTT, Sat o Internet. Nei primi due casi è evidente che la possibilità di ospitalità di programmi da downloadare deve fare i conti con la capacità trasmissiva (o capienza) dell’operatore di rete, tanto che l’offerta di programmi da scaricare necessiterà di un continuo aggiornamento (costante soppressione delle trasmissioni più datate o meno appetibili a favore di quelle più recenti o richieste), da cui la definizione di modalità “push on demand” (imposta dal broadcaster); nel terzo caso, invece, il volume di ospitabilità è virtualmente infinito (in quanto web resident), sicché la lista di programmi accessibili per il download sarà enormemente superiore ai primi due casi. Per esempio, nel caso di "Sky Selection on demand", il provider sat della News Corp mette a disposizione fino a 30 ore di programmazione al giorno, 150 titoli al mese e 5 nuovi contenuti al giorno, archiviati sull’hard disk del ricevitore dell’utente, che ne decide il momento della fruizione. Nella soluzione di Mediaset Premium On Demand, il provider DTT rende invece godibile ai propri abbonati un catalogo di film e serie tv pari a 50 programmi al mese, rinnovato giornalmente con 2 film (film e serie tv sono disponibili in ogni momento fino alla loro cancellazione mensile). E’ quindi chiaro che, a parità di possibilità di fruizione (cioè di ricezione) tra DTT, Sat e Web, per il video on demand la tv via Internet, sia questa IP tv (nell’immediato) che Web Tv (in prospettiva), è la soluzione ideale e comunque quella che, nel futuro prossimo, dominerà il mercato (Telecom Italia, con l’operazione CuboVision, ha deciso di investire massicciamente in questa direzione). Il punto, come abbiamo più volte sottolineato su queste pagine, è che perché le piattaforme possano operare in concorrenza o in reciproca supplenza, è necessario che all’utenza sia consentita l’accessibilità. E se non v’è dubbio che lo sviluppo delle connessioni ad Internet ad alta velocità in gran parte del territorio nazionale renderà presto potenzialmente accessibile la IPTv (prima) e la Web Tv (poi), lo snodo della fruizione dovrà passare dall’oggetto oscuro del desiderio tecnologico televisivo: il decoder-unico, cioè il ricevitore multipiattaforma (DTT, Sat, IP/Web Tv) con schema comportamentale unico (cioè con modalità di fruizione secondo schemi di funzionamento che non variano con la marca del decoder), nella direzione della facilitazione dell’impiego da parte dell’utente. Ma, come sempre, la tecnica ed il mercato lavorano anche quanto il regolatore dorme (Agcom ha da tempo in corso un’istruttoria sul decoder-unico) e nei grandi centri commerciali hanno cominciano a far bella mostra di sé, attirando le attenzioni dei consumatori tecnologicamente più evoluti, i televisori con funzionalità Internet. Per esempio, il colosso Philips ha immesso sul mercato (anche italiano) un tv che permette, attraverso una connessione Ethernet o wi-fi, l’accesso diretto ad una lista di siti web di intrattenimento o di informazione (in modalità IPTv, quindi) dallo schermo (touch screen) e dal telecomando, senza bisogno di decoder, abbonamenti, tastiere o collegamenti a computer esterni. I televisori della serie Net Tv sfruttano le joint venture di Philips con YouTube, TomTom, eBay, MeteoGroup, MyAlbum, Funspot e Netlog, che mettono a disposizioni indirizzi IP (che rimandano a portali configurati per una visione ottimale ed in HD attraverso tv a grande schermo), ai quali si viene indirizzati. Ma il prossimo passo, nella direzione della Web-Tv, sarà quello di navigare su Internet con la tv di casa senza dover soggiacere ad un indirizzario IP precostituito. E non è questione di anni, ma di mesi.