I giovani italiani non sarebbero fedelissimi ai telefilm. E’ quanto emerso nel corso del workshop organizzato durante il Telefilm festival 2008 di Milano. Giorgio Gori (foto), amministratore delegato della casa di produzione Magnolia, ha dichiarato che la grande presenza di telefilm nei palinsesti televisivi made in Italy dipende dal fatto che questo formato preconfezionato ha costi inferiori rispetto a una produzione italiana o ad uno show. C’è poi l’aspetto della praticità poiché spesso le serie sono utilizzate come riempitivo e poi, come conferma anche Giovanni Modina, vicedirettore generale dei contenuti Rti Mediaste, i telefilm non si possono lamentare per i continui spostamenti all’interno della programmazione. Il conduttore di uno show sì! Gori ha dichiarato che, se da una parte cresce l’attenzione verso i telefilm (e questo è confermato anche dalla creazione di manifestazioni con il festival milanese), dall’altra non c’è una reale attenzione da parte dell’audience e non c’è un incremento degli ascolti. Diversa è la situazione nel resto d’Europa. In Francia le reti che normalmente hanno il 18-20% di share toccano il 30-35% nei momenti in cui passano Dr. House, Criminal Minds, CSI o NCIS. Lo stesso accade in Spagna, Gran Bretagna e Germania mentre nella penisola, il grande successo del Dr. House arriva al 20%. Come conferma Paolo Bassetti, presidente e amministratore delegato di Endemol Italia, in Italia inoltre le sit-com e le fiction home-made sono poche rispetto a quelle realizzate negli Stati Uniti. I motivi sono da ricercare nella mancanza di risorse poiché solo Rai Uno e Canale 5 hanno, sempre secondo Bassetti, le risorse da investire. Ci sarebbe poi una notevole lentezza dei processi e una bassa propensione al rischio da parte dei produttori che non ne vedono la convenienza. Se a questo si aggiunge il terrore che i broadcaster nutrono nei confronti dell’Auditel si intuisce il perché dell’insuccesso nostrano. Dalle pagine di Italia Oggi il produttore di Videomedia Italia, Alessandro Ippolito, ha spiegato che “per un progetto a volte passano tre anni dall’ideazione alla fine della produzione. E poi magari la rete televisiva, se la prima puntata non ottiene grandi ascolti, toglie di mezzo la serie e gli altri 25 episodi sono da buttare”. Oltre a questo va considerato che, al giorno d’oggi, le possibilità di fruizione e di scelta dei contenuti sono numerose grazie alla pay-tv, al digitale e alle web tv. La tv generalista invece, secondo quanto afferma Giorgio Gori, punta ancora ad un pubblico tradizionale, familiare e casalingo. I giovani e tutte le persone tecnologicamente avanzate non hanno interesse verso questo tipo di televisione e gli operatori devono trovare il coraggio di trovare soluzioni alternative per mantenersi competitivi. (Silvia Bianchi per NL)