Tv. CdS: trasmissione di informazione soggette ai principi di correttezza e completezza

Il presidente del gruppo Popolo della Libertà alla Camera dei Deputati ha inviato all’AGCOM un esposto circa la violazione del pluralismo dell’informazione nella trasmissione "Che tempo che fa" condotta da Fabio Fazio su RAI3 (anche con riferimento ai principi tutelati della deliberazione AGCOM 22/06/CSP, art. 2: "completezza e correttezza dell’informazione, obiettività, equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista e parità di trattamento").

Nella segnalazione si sostiene che nel periodo 30 settembre 2012 – 26 maggio 2013 si era verificata una presenza di esponenti del PD o comunque riconducibili all’area del centrosinistra molto maggiore di quella di esponenti del PdL o comunque riconducibili all’area del centrodestra. L’AGCom, sulla base dei dati del monitoraggio relativi al predetto ciclo del programma, ha ritenuto che si fosse verificata un’alterazione della parità di trattamento tra forze politiche omologhe, ed ha adottato conseguentemente il provvedimento 25 luglio 2013 n. 477/13/CONS, con cui, premesso che il programma sebbene classificato come c.d. infotainement è riconducibile all’approfondimento informativo, e che i dati evidenziano una rilevante criticità in ragione degli squilibri nei tempi di parola fruiti dai diversi soggetti politici, ha disposto che il programma, dalla ripresa estiva e per sei mesi, deve dare adeguato spazio al PdL al fine di ripristinare una effettiva parità di trattamento. La Rai ha adito il TAR del Lazio, il quale, con la sentenza appellata (I, n. 1392/2014), ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento n. 477/13/CONS. L’AGCom ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato censurando la decisione del TAR Lazio per violazione di legge. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Terza, Est. Ungari) con sentenza n. 6066 del 10 dicembre 2014, ha rigettato l’appello. Non è controverso – ha osservato il Consiglio – che la trasmissione "Che tempo che fa" non sia ascrivibile al genere dei programmi di "comunicazione politica", bensì a quello dei programmi di "approfondimento informativo", in quanto – come afferma anche il provvedimento impugnato – "caratterizzata dalla correlazione ai temi dell’attualità e della cronaca". Nemmeno è controverso che le violazioni contestate da AGCom in ordine al ciclo 2012/2013 siano relative a periodi non elettorali, e non riguardino invece in alcun modo il periodo dal 24 dicembre 2012 al 25 febbraio 2013, interessato dalla campagna elettorale per le elezioni politiche. L’ambito di applicazione della legge 28/2000 riguarda i programmi di "comunicazione politica", cui sono in parte assimilabili, ex art. 5 della legge, i "programmi di informazione" che vadano in onda dalla indizione dei comizi elettorali fino alla chiusura delle operazioni di voto; non anche i "programmi di informazione" che vadano in onda nei periodi non elettorali. D’altro canto – ha rilevato il Consiglio – il criterio di ripartizione matematicamente paritaria degli spazi attribuiti è proprio della legge 28/2000. Al contrario, come affermato nella sentenza appellata, non vi è una fonte legislativa che disciplini i programmi di informazione (e tanto meno i programmi di intrattenimento misto ad informazione) trasmessi in periodi non elettorali, prevedendo obblighi di proporzionale ripartizione numerica delle presenze degli esponenti dei partiti politici. Vi sono, al riguardo, disposizioni che fissano principi generali, da applicare sulla base di criteri qualitativi (e da esternare mediante giudizi motivati) e non meramente quantitativi (ossia consistenti nel mero riferimento a cifre o quote percentuali). Tra queste, l’art. 7, comma 2, lettera c), del d.lgs. 177/2005, che richiama i principi di "parità di trattamento e di imparzialità" ai fini dell’ "accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione", e l’art. 1, comma 6, lettera b), n. 9, della legge 249/1997, secondo cui AGCom "garantisce … l’osservanza delle norme in materia di equità di trattamento e di parità di accesso nelle pubblicazioni e nelle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale ed emana le norme di attuazione". Le trasmissioni di informazione nei periodi non elettorali – ha affermato il Consiglio – sono soggette ai "principi di completezza e correttezza dell’informazione, obiettività, equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista e parità di trattamento" (art. 2, comma 1); ma AGCom, anziché valutare il rispetto dei principi sopra ricordati sulla base di criteri qualitativi – cioè, esemplificando, analizzando il tipo di programma, le modalità di confezionamento dell’informazione, la condotta dei giornalisti, l’apertura della trasmissione alla discussione dei diversi punti di vista e alla rappresentazione di plurali opinioni politiche, il carattere veritiero e completo delle informazioni fornite – si è limitata a registrare il mero dato quantitativo, così incorrendo nei vizi denunciati in primo grado e ritenuti fondati dal TAR. Non può sostenersi – ha osservato il Consiglio – che la quantità risulti assorbente, allorché evidenzi una sproporzione oggettiva tra gli schieramenti politici. Infatti, occorre considerare che un simile approccio potrebbe dar luogo a paradossi distorsivi della libertà di informazione, in quanto sarebbe sufficiente che un partito politico declini sistematicamente gli inviti ad una trasmissione radiotelevisiva, per determinare una sottorappresentazione delle sue presenze, del tutto indipendente dalle scelte dell’emittente, ma tuttavia tale da comportare il non rispetto del criterio. Anche senza ipotizzare simili evenienze (che, peraltro, la successiva cronaca politica ha dimostrato essere tutt’altro che irrealistiche), può inoltre considerarsi che detta interpretazione finisce col rendere problematica la stretta attinenza del format alla notizia di attualità (nel periodo temporale in questione dominata dalle vicende interne al PD, particolarmente discusse, spesso con coloriture o accenti negativi, con riferimento alle dimissioni del segretario del partito ed alle polemiche seguite al risultato elettorale), e col rendere irrilevanti le modalità di conduzione dei programmi (si pensi al caso in cui il conduttore del programma, pur invitando un maggior numero di esponenti di un certo partito, avesse rivolto loro pesanti critiche, osservazioni sarcastiche, domande scomode, così peggiorando la percezione di essi e del partito da parte dell’opinione pubblica). (Legge e giustizia.it)

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