Con sentenza n. 20657/2011 del 07/10/2011, la Sezione Prima Civ. della Corte di Cassazione ha affermato la determinazione in misura fissa del canone di concessione dovuto dalle emittenti locali sino al 31/12/1994, a differenza del canone dovuto per le concessioni televisive in ambito nazionale.
Così decidendo, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Roma che aveva condannato l’emittente locale Rete 8 al pagamento, a titolo di canoni di concessione per gli anni 1994 e 1995, di un importo quantificato sulla base del numero di bacini di utenza serviti, con ciò equiparando le modalità di calcolo di detto canone a quelle applicate alle tv nazionali. La lunga vicenda giudiziaria ha avuto inizio con l’azione intrapresa dalla Rete 8 s.r.l. che ha convenuto in giudizio l’allora Ministero delle Poste e Telecomunicazioni contestando l’obbligo di versare il canone di concessione per l’anno 1994 e le modalità di quantificazione dello stesso. L’attrice sosteneva, in primo luogo, la natura recettizia del decreto di concessione (emesso nell’aprile 1994), per cui riteneva che il relativo canone fosse dovuto solo dalla data di comunicazione del provvedimento, cioè dal febbraio del 1995; in secondo luogo affermava che il canone stesso dovesse essere comunque quantificato nella misura fissa annuale fissata dall’art. 22 della L. n. 223/1990, e non secondo le modalità stabilite nel decreto di concessione, che moltiplicava tale somma per il numero di ambiti territoriali raggiunti dall’emittente. Per tali motivi l’attrice richiedeva la restituzione della somma indebitamente versata quale canone di concessione per l’anno 1994. Il Tribunale adito accoglieva la tesi della Rete 8, escludendo l’obbligo di versare il canone di concessione per il 1994, nulla dicendo sulla restituzione dell’importo versato, “(la cui effettiva corresponsione da parte dell’attrice non riteneva provata)”. A seguito del ricorso proposto dal Ministero, la Corte di Appello di Roma ribaltava la sentenza di primo grado, condannando la Rete 8 al pagamento del canone di concessione sia per l’anno 1994 (da aprile) – ritenendo che al decreto non poteva attribuirsi natura recettizia – sia per l’anno 1995, e quantificando detto valore in euro 42.280,36 oltre interessi. Secondo la Corte, infatti, “detto canone era dovuto -corrispondentemente a quanto disposto dalla legge n. 223/1990 per le emittenti nazionali delle quali identifica i bacini di utenza – per ciascuna emittenza locale, si che andava moltiplicato per i bacini di utenza serviti, che nella specie la stessa concessionaria ammetteva essere tre, avendo trasmesso nelle Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Toscana”. Con successivo ricorso in Cassazione, la Rete 8 ha denunciato quindi “la violazione e falsa applicazione dell’articolo 22 comma 1 lettera b) della legge n. 223/1990”, sostenendo che “tale disposizione prevede espressamente, per le concessioni per radiodiffusioni televisive in ambito locale, il solo pagamento del canone nella misura fissa di lire 20 milioni, aumentato del 16,9 % a seguito del D.M. 18.2.19942” e “che la moltiplicazione del canone anzidetto per i bacini di utenza è prevista, dalla lettera d) dello stesso articolo, per le sole concessioni per radiodiffusione in ambito nazionale”. Il disposto dell’art. 22, comma 1, lettera b) della Legge n. 223/1990 è stato poi confermato, per il periodo sino al 31/12/1994, dall’art.6 bis della Legge n. 422/1993 di conversione del D.L. n. 323/1993. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso dell’emittente locale, ha affermato che la soluzione interpretativa resa dalla Corte di Appello di Roma, che ha equiparato, ai fini delle modalità di calcolo del canone, le concessioni per radiodiffusione televisiva in ambito locale e nazionale, “si pone in netto contrasto con la distinta regolamentazione chiaramente risultante dal raffronto tra le suddette disposizioni normative. Ne deriva – conformemente all’orientamento già più volte espresso sul punto dai Giudici Amministrativi (cfr. ex multis T.A.R. Abruzzo n.660/1998) – che, per il periodo fino al 31 dicembre 1994, il canone per radiodiffusione televisiva in sede locale – a differenza di quello per le concessioni in sede nazionale – deve ritenersi determinato, ai sensi dell’art. 22 comma 1 lett. b) legge n. 233/1990, in una cifra fissa, non dipendente dal numero di bacini di utenza”. La sentenza di secondo grado impugnata è stata quindi cassata dalla Suprema Corte, che ha disposto il rinvio della causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale dovrà decidere sulle domande delle parti applicando il sopra esposto principio di diritto. (D.A. per NL)