(Articolo 21) – L’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni sollecita la Rai a varare entro sei mesi il nuovo sistema di rilevamento qualitativo degli ascolti, come previsto dal Contratto di servizio 2007-2009. Pena una ‘megamulta’ di circa 90 milioni di euro, pari al 3 per cento del suo bilancio.
Cambiano i Governi, cambiano le Commissioni parlamentari di vigilanza, cambiano i vertici aziendali RAI, cambiano i Contratti di servizio ma nessuno vuole dare voce ai cittadini-utenti, vuole rilevare le opinioni del pubblico televisivo.
E’ così dal 1997 da quando la Rai si era finalmente dotata di un sistema di rilevamento quantitativo, Iqs (Indice di Qualità e Soddisfazione), tenuto occultato anche all’interno dell’azienda, tanto da negarne l’esistenza, fino quando il ministro delle comunicazioni Gasparri pur di favorire l’iter della sua riforma non ebbe l’imprudenza di promettere la pubblicazione quotidiana di quei dati troppo ‘sensibili’ per darli in pasto alla stampa e al pubblico, che magari qualcuno avrebbe capeggiato una rivolta contro la dittatura dell’Auditel, che dura da ben 22 anni.
Il rilevamento quantitativo della società privata Auditel – dove i controllati sono anche i controllori – è infatti l’unico accettato dagli associati (Rai-Mediaset-Upa) per dare un prezzo agli spot pubblicitari, oltre a svolgere un ruolo improprio di giudice insindacabile dell’intera programmazione televisiva. Fu così che il ministro Gasparri inserì l’obbligo di misurazioni qualitative nel Contratto di servizio 2003-2005 – che in verità già c’erano, sebbene mai rivelate – e decise l’11 novembre 2003 di rendere noti quei dati che rivelarono una platea televisiva del tutto dissimile da quella dell’Auditel.
Un solo giorno di gloria per l’Iqs tornato all’indomani nell’oblio aziendale fin quando il ministro delle comunicazioni Gentiloni non ha inserito nel nuovo Contratto di servizio 2007-2009 l’obbligo di rilevamenti di qualità più raffinati rispetto al vecchio Iqs, mandato inspiegabilmente in pensione prima di sostituirlo.
Siamo arrivati all’inizio del 2009 e del nuovo Qualitel non c’è traccia, se non che il vicedirettore generale della Rai, Giancarlo Leone, si è detto contrario a spendere tanti soldi per rilevare il gradimento, la qualità oggettiva e perfino le attese del pubblico, come prevede il Contratto di servizio.
Non avrebbe torto Leone se il vecchio Iqs costava oltre 1 milione di euro l’anno a fondo perduto e se il nuovo Qualitel facesse la stessa fine di ospite sgradito ai vertici aziendali Rai e non solo, destinato quindi ad essere secretato.
Ma perché tanta paura di rilevare e pubblicare questi dati? La risposta è semplice. La Tv non appartiene al pubblico e la Rai non appartiene ai cittadini, che pure pagano un canone così basso, il più basso in Europa, da giustificare la resa incondizionata alla Tv commerciale e alla pubblicità.
A quando una seconda Repubblica che ripristini la democrazia televisiva? Cominciamo da un Qualitel di dominio pubblico.
Cambiano i Governi, cambiano le Commissioni parlamentari di vigilanza, cambiano i vertici aziendali RAI, cambiano i Contratti di servizio ma nessuno vuole dare voce ai cittadini-utenti, vuole rilevare le opinioni del pubblico televisivo.
E’ così dal 1997 da quando la Rai si era finalmente dotata di un sistema di rilevamento quantitativo, Iqs (Indice di Qualità e Soddisfazione), tenuto occultato anche all’interno dell’azienda, tanto da negarne l’esistenza, fino quando il ministro delle comunicazioni Gasparri pur di favorire l’iter della sua riforma non ebbe l’imprudenza di promettere la pubblicazione quotidiana di quei dati troppo ‘sensibili’ per darli in pasto alla stampa e al pubblico, che magari qualcuno avrebbe capeggiato una rivolta contro la dittatura dell’Auditel, che dura da ben 22 anni.
Il rilevamento quantitativo della società privata Auditel – dove i controllati sono anche i controllori – è infatti l’unico accettato dagli associati (Rai-Mediaset-Upa) per dare un prezzo agli spot pubblicitari, oltre a svolgere un ruolo improprio di giudice insindacabile dell’intera programmazione televisiva. Fu così che il ministro Gasparri inserì l’obbligo di misurazioni qualitative nel Contratto di servizio 2003-2005 – che in verità già c’erano, sebbene mai rivelate – e decise l’11 novembre 2003 di rendere noti quei dati che rivelarono una platea televisiva del tutto dissimile da quella dell’Auditel.
Un solo giorno di gloria per l’Iqs tornato all’indomani nell’oblio aziendale fin quando il ministro delle comunicazioni Gentiloni non ha inserito nel nuovo Contratto di servizio 2007-2009 l’obbligo di rilevamenti di qualità più raffinati rispetto al vecchio Iqs, mandato inspiegabilmente in pensione prima di sostituirlo.
Siamo arrivati all’inizio del 2009 e del nuovo Qualitel non c’è traccia, se non che il vicedirettore generale della Rai, Giancarlo Leone, si è detto contrario a spendere tanti soldi per rilevare il gradimento, la qualità oggettiva e perfino le attese del pubblico, come prevede il Contratto di servizio.
Non avrebbe torto Leone se il vecchio Iqs costava oltre 1 milione di euro l’anno a fondo perduto e se il nuovo Qualitel facesse la stessa fine di ospite sgradito ai vertici aziendali Rai e non solo, destinato quindi ad essere secretato.
Ma perché tanta paura di rilevare e pubblicare questi dati? La risposta è semplice. La Tv non appartiene al pubblico e la Rai non appartiene ai cittadini, che pure pagano un canone così basso, il più basso in Europa, da giustificare la resa incondizionata alla Tv commerciale e alla pubblicità.
A quando una seconda Repubblica che ripristini la democrazia televisiva? Cominciamo da un Qualitel di dominio pubblico.