La settimana appena registrata ha visto – finalmente – l’adunanza dei CNID per la definizione della nuova calendarizzazione degli switch off nelle aree del Paese non ancora digitalizzate interamente.
In realtà, il calendario era solo l’ordine del giorno formale: quello reale era la carenza di frequenze conseguente all’attribuzione del dividendo esterno (61/69 UHF), che impedirà al Governo di preservare lo status di operatore di rete a tutte le emittenti locali attualmente operanti. Nonostante le consuete garanzie del distintivato di turno, a cui sino ad ora hanno immancabilmente abboccato le rappresentanze degli operatori locali, la vera verità è che non c’è trippa per gatti. Il momento economico non è promettente per i telefonici, che fanno sapere che di mollare 2,4 mld di euro per frequenze che non si sa se e quando saranno liberate non ci pensano nemmeno e, al più, possono considerare soluzioni economicamente al ribasso o pagamenti (molto) dilazionati. Il momento è complicato anche per il governo, che sui quei due miliardi e mezzo ci ha fatto grande affidamento (e probabilmente se li è anche già spesi) ed ha rassicurato l’opinione pubblica che senza rinvii la banda larga mobile italiana sarà a breve al livello di quella europea d’eccellenza. Quindi, se di spostare nel tempo il potenziamento dell’internet senza fili e di aumentare gli indennizzi non si può parlare, considerate le scellerate ed irrecuperabili strategie attuate negli anni scorsi dai rappresentanti delle tv locali, non rimane che una vera, ancorché dolorosa, soluzione. Quella che da almeno due anni scriviamo su queste pagine: condividere i mux da parte delle locali. Il resto son solo chiacchiere. Buon ascolto.
p.s. un’altra soluzione in verità ci sarebbe: alleggerire la borsa frequenziale dei superplayer Mediaset, RAI e Telecom Italia Media ridistribuendo alle locali un mux nazionale a testa (che peraltro recupererebbero con l’assegnazione del digital dividend interno). Ma nessuno, nemmeno all’opposizione, si permette solo di sussurrarlo.