Un tempo c’erano YouTube e MySpace, pionieri dell’anarchia tecnologica in rete, poi conglobati all’interno di grandi multinazionali intenzionate a speculare sulle decine, centinaia di milioni d’utenti che questi contavano e, tuttora, contano. Oggi vi è tutta una nuova generazione di “enfant prodige”, di successori di questi due enormi fenomeni planetari, tra i quali, però, si fa sempre più largo la tendenza a restare svincolati dai grandi colossi. Per ora, perlomeno. Facebook, il mega portale di condivisione foto, file e rapporti d’amicizia, è il capostipite di questa schiera di nuovi soggetti, che annovera, tra i principali, LinkedIn (fondato da Reid Hoffman), spazio dove gli utenti possono creare dei propri profili digitali per lavorare, e SmallWorld, comunità autodefinitasi “privata”, creata da Joe Robinson.
Certo, il fenomeno Facebook, dall’alto dei suoi 37 milioni d’utenti e 150mila nuove registrazioni giornaliere, ha portata maggiore dei suoi adepti, tanto da meritarsi le attenzioni dei più grandi “mostri” del mercato informatico. Mark Zuckerberg (foto), ventitreenne ex studente di Harvard, è, allo stesso tempo, la mente ed il braccio di Facebook e da quando tre anni fa lo ha fondato, ha rispedito al mittente una serie d’offerte da capogiro, tenendosi ben stretta la sua creatura. In principio fu Viacom a fiutare l’affare e ad offrire 750 milioni di dollari al ragazzo per acquisire i diritti del suo sito; poi è stata la volta di Yahoo! (da cui alcuni dipendenti si sono mossi proprio per andare a lavorare alla corte di Zuckerberg), con un’offerta di 1,2 miliardi ed, infine, è toccato a Google, la cui offerta di oltre 2 miliardi pareva impossibile da rifiutare. Ed invece Zuckerberg ha tenuto duro e continua a gestire Facebook, prendendo come modello proprio Larry Page e Sergey Brin, i due creatori di Google che a lungo hanno rifiutato assegni multimiliardari e, portando la propria azienda in borsa al momento giusto, hanno visto le azioni del gruppo salire dai 100 dollari iniziali ai 515 attuali. (L.B. per NL)