Si chiamava Cihan Hayirsevener, era il direttore del quotidiano locale di una piccola città affacciata sul mar di Marmara, a poche centinaia di chilometri dal caos di Istanbul.
È stato ucciso pochi giorni fa, il 19 dicembre, da un vigliacco che gli ha sparato alcuni colpi di pistola, recidendogli l’arteria femorale, e poi è fuggito a bordo di un’auto. Cihan Hayirsevener è morto, si mormora, perché da due anni scriveva di corruzione, di appalti truccati e già aveva ricevuto numerose minacce. Ma la sorveglianza, quella no. Ed allora pochi giorni fa, in pieno giorno, in mezzo alla strada, il suo aggressore è andato a prenderlo, gli ha scaricato addosso la sua arma e l’ha zittito per sempre. Casi come questi, in Turchia, purtroppo, ne accadono troppo spesso. Le ragioni sono ogni volta diverse, data la complessità politico-religiosa del Paese. E chi fa il mestiere del giornalista, come ha sostenuto Zafer Atay in Turchia, di rischi ne corre tanto. L’omicidio di Hayisevener è stato paragonato a quello di Hrant Dink, che due anni fa aveva sconvolto il paese. Dink era stato freddato apparentemente da un pazzo ultranazionalista ad Istanbul per aver “offeso” la popolazione turca e la sua tradizione. Di origine armena, Dink era sempre stato tra coloro che tentavano di intavolare un dialogo tra il governo di Ankara e la minoranza armena, per arrivare al riconoscimento del genocidio commesso dal neonato Stato turco ai danni della consistente minoranza di armeni che s’erano trovati intrappolati nei confini tracciati dai trattati post-primo conflitto mondiale. Il giovanissimo assassino di Dink veniva da Trabzon, a due passi dall’attuale confine con l’Armenia e si dice frequentasse gli ambienti ultranazionalisti, così fecondi in quella terra. Solo dopo sul caso è venuto a gravare il peso delle indagini su Ergenekon, la cosiddetta gladio turca. Ma tuttora il caso non è chiarito. (G.M. per NL)