(La Stampa.it – di Francesca Paci) – Carnaby street è morta, Austin Powers è morto e neanche la swinging London si sente tanto bene. La City non è mai stata lontana come oggi dall’identità forte e brillante degli anni 60. Le vie della moda cedono il passo ai negozi multietnici di Brick Lane, i mitici 007 al servizio di sua Maestà sono stati sostituiti dall’occhio vigile delle telecamere che monitorano piazze e strade, lo spirito ribelle della città fa i conti con le severe leggi antiterrorismo e l’austerity imposta dalla crisi. Ma la musica è rimasta. Le canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones che hanno accompagnato il boom economico e culturale della capitale inglese sono per sempre nel suo Dna. E basta un film che ricordi l’urlo liberatorio di allora, dando l’illusione di poter riportare le lancette dell’orologio indietro almeno per un po’, perché torni la febbre del rock. Sarà che una parte di città è stanca di ascoltare il requiem dei politici, sarà che ha fatto il pieno di economia con il vertice G20, sarà la nostalgia dell’età dell’innocenza, ma da quando la settimana scorsa è uscito nelle sale cinematografiche The Boat That Rocket, la storia d’emittente privata Radio Caroline che negli anni Sessanta trasmetteva da una nave ancorata lontano dalle acque territoriali del Regno Unito per evitare le leggi affatto rock-friendly del governo britannico, Londra non parla d’altro. Locandine dovunque, i tabloid temporaneamente dimentichi di Amy Winehouse per inseguire i protagonisti (tra cui Bill Nighy, Kenneth Branagh, Rhys Ifans, Nick Frost, Emma Thompson), le vetrine dei negozi spruzzate di foulard dai colori pastello e minigonne vere alla Mary Quant. Anche i dj della Bbc, che allora erano dalla parte opposta della barricata, sono stati contagiati e capita di sentire più spesso del solito Satisfaction e Imagine. Il film, diretto da Richard Curtis, lo sceneggiatore di Notting Hill e Quattro matrimoni e un funerale passato alla regia, arriverà in Italia il 12 giugno con il titolo di Radio Rock Revolution, è sufficiente però dare un’occhiata al trailer su Youtube e ai messaggi che l’accompagnano per farsi un’idea del bisogno di alzare il volume e perdersi nel ritmo. La festa è ancora lì. «Dovevano essere anni fantastici» dice l’attrice ventitreenne Gemma Arterton, una delle interpreti, sorseggiando un cocktail chiamato Dirty Marianne sul divanetto della Terrazza Martini al Louise Blonin Institute di Hammersmith, a sud ovest della City. Come tutti gli ospiti del party organizzato in occasione della prima, indossa un abito d’epoca, corto, celeste, a trapezio, suggestione di un mondo di cui lei, nata nell’era dell’ipod, ha sentito solo parlare. Poco distante il Beatle Paul McCartney, in giacca nera abbottonata alta, è talmente parte del tabloid sixty che fatichi a notarlo. Cosa gli è piaciuto in particolare del film? «La musica». Ossia la sua. Radio Caroline è il simbolo della sfida pacifica alle regole. Fu Roman O’Rahilly, un giovane irlandese appassionato di rythm&blues che sarebbe diventato il manager dei Rolling Stones e di Alexis Corner, a lanciare l’esperimento nel 1965 attrezzando di studio e trasmettitori una nave battente panamense ancorata al largo del mare del Nord. Sognava gli Stati Uniti di Voice of America chiamò la sua creatura Caroline come la figlia del presidente John F.Kennedy, ucciso l’anno prima a Dallas. Dopo tre settimane di vita, The Boat That Rocket aveva superato l’emittente di stato, la potente Bbc, conquistando 7 milioni di ascoltatori al format all-music, ventiquattr’ore su ventiquattro. Il governo inglese accusò il colpo e nell’estate del 1967 varò una legge repressiva durissima: Radio Caroline resse botta ma dopo aver sfidato per un quarto di secolo l’etere di Sua Maestà si arrese nel 1990 all’invasione delle radio private. Era la fine di una leggenda ma anche la sua trasformazione in storia. Oggi la musica è libera di raccontare lo spirito del tempo. Sarà per questo forse che proprio adesso gli inglesi sentano forte la nostalgia del passato. I giovanissimi guardano indietro agli anni ’80 da cui sono riemersi gli Spandau Ballet, gli altri vanno più lontano e basta una commedia perché si lascino contagiare dalla febbre del rock.