Nato come “secondo giornale”, si è conquistato il ruolo di principale antagonista del “Corriere”, superandolo spesso e volentieri.
Fu la prima, in quel lontano 1975, in cui si parlò realmente del “giornale dei giornalisti”. Erano anni concitati per quanto riguarda il giornalismo italiano. Oltre ai giornali post-sessantottini, alle stragi, all’addio di Montanelli al “Corriere” e la fondazione del “Giornale nuovo”, c’era neonato “Il Giorno” di Enrico Mattei, e poi c’erano alcuni giornalisti dell’ala della sinistra extraparlamentare, ma anche progressisti e moderati, che decisero che era tempo per fare un giornale per conto loro, fregandosene delle logiche editoriali, degli editori forti e delle linee editoriali. A capo di questo manipolo di sognatori c’era Eugenio Scalfari, già direttore de “L’Espresso”, esperto di economia. Scalfari, che aveva anche buoni contatti nel mondo degli affari, in realtà, per iniziare, un editore, anzi due, dovette chiamarlo, perlomeno per sostenere la spesa iniziale per far uscire il giornale. Si trattava di Carlo Caracciolo che, assieme alla Mondadori, finanziarono il progetto con poco più di 2 miliardi di vecchie lire ed il 14 gennaio del 1976 il primo numero di “Repubblica” era in edicola. Oltre a Scalfari, vi lavoravano Giorgio Bocca, Gianni Rocca, Miriam Mafai, Natalia Aspesi, tanto per citare i più noti. Più Giorgio Forattini, autore delle vignette satiriche. Più tardi vi si aggiunsero Gianpaolo Pansa, Enzo Biagi, Alberto Ronchey. Nato come “secondo giornale”, “Repubblica” aveva venti pagine, non aveva sport, aveva un minimo indispensabile di cronaca e tanti commenti. Commenti di sinistra, ma liberi. L’editore, infatti, era un editore puro: lasciava lavorare questo manipolo di giornalisti che si era inventato un giornale e l’aveva portato, nei primissimi anni, ad una tiratura media di 120-140.000 copie. Il boom arriva con gli anni ottanta, in cui “Repubblica” cresce, approfitta della crisi del “Corriere”, dello scandalo che coinvolge il suo direttore Di Bella, iscritto alla loggia P2 ed arriva, attorno alla metà degli ottanta, a toccare quota 300mila copie. Poi il giornalismo italiano conosce il fenomeno degli allegati, che ne cambia in parte i connotati e le logiche. È “Repubblica” a fare il primo passo, con “Portfolio”, il “Corriere” risponde e “Repubblica” risponde nuovamente.
Poi arriva la bufera: la famosa guerra di Segrate che consegna la Mondadori nelle mani di Silvio Berlusconi. “Repubblica” e “L’Espresso”, però, si salvano e restano nelle mani della Cir dell’imprenditore Carlo De Benedetti. Poi gli anni novanta. “Repubblica”e il “Corriere” si giocano il primato a seconda dei periodi e nel 1996 Eugenio Scalfari va in pensione e gli subentra il direttore de “La Stampa”, Ezio Mauro. Che ancora oggi è alla guida del quotidiano romano. (G.M. per NL)