Il CdR di GR Parlamento, la rete RAI destinata alla trasmissione dei lavori parlamentari, torna a chiedere all’Azienda una soluzione immediata per la propria testata.
Secondo il comitato di redazione, "giunti al nono mese di Interim del direttore Gianni Scipione Rossi, non è più differibile una decisione sul futuro. I ripetuti annunci dei vertici aziendali, riguardo l’ipotesi di imminente accorpamento di GrP con altra Testata, non hanno avuto seguito e l’immobilismo della Rai sta portando ad una sempre maggiore marginalizzazione del lavoro che quotidianamente la redazione è chiamata, con fatica e per puro spirito di "servizio pubblico", ad offrire agli ascoltatori per continuare a renderli edotti sui quotidiani lavori parlamentari e istituzionali", spiegano i redattori in una nota. "Una decisione è indispensabile e subito – aggiungono i giornalisti RAI – Ci sono carenze di organico e di organizzazione che rendono non più tollerabili i sacrifici della redazione e le responsabilità individuali che quotidianamente ci vengono richieste di assumere (…). Nel frattempo l’identità della Testata latita sempre più, tra un vecchio Piano Editoriale (quello del precedente direttore Miele) approvato dal Cda e gli assestamenti e le modifiche di un direttore ad interim che non può presentarne uno proprio". In realtà, il problema è più profondo: ha senso, in un momento di intensa crisi economica, caricare ogni anno sui cittadini oltre 7 milioni di euro per una rete FM che svolge lo stesso servizio offerto da un’altra stazione (privata) pagata con 8,4 milioni pubblici? L’annosa querelle della duplicazione del ruolo di megafono in modulazione di frequenza da parte di Radio Radicale e RAI GR Parlamento merita una soluzione una volta per tutte. Ammesso e non concesso che il servizio di diffusione FM sia ancora necessario, posta la presenza di un più che efficace streaming web integrato da una soluzione on demand e da canali satellitari e DTT, non è tollerabile che gli italiani debbano versare quasi sedici milioni di euro all’anno per due canali di informazione identici con ritorni d’ascolto da una parte (GR Parlamento) non quantificati – l’emittente non è stata iscritta alle indagini – e dall’altra (Radio Radicale) a livello di radio regionale, ma con costi/ricavi da nazionale. I dati d’ascolto attestano infatti che negli ultimi dieci anni Radio Radicale ha perso circa il 40% del proprio pubblico, calando fino a una media di 288 mila contatti nel giorno medio (fonte Eurisko 2013). Posto che la trasmissione dei lavori parlamentari da parte dei Radicali costa – come detto – 8,4 mln di euro all’anno (l’emittente riceve sovvenzionamenti statali superiori, ma vogliamo qui soffermarci solo sul contributo di specie), significa che ogni utente raggiunto in FM ci costa 29 euro all’anno (una rete nazionale finanziata esclusivamente con pubblicità ha un costo annuale per utente tra 4 e 7 euro)! Stimando (probabilmente per eccesso, posta la penosa qualità delle frequenze acquistate nella seconda metà degli anni ’90 da RAI in fretta e furia dai privati) in altrettanti i fantasmini di GR Parlamento, che invece costa circa 7 mln di euro all’anno, determiniamo una ulteriore quota di circa 25 euro per utente (che in non pochi casi potrebbe essere lo stesso amante dei lavori parlamentari che zappetta da un canale all’altro), rigorosamente sul groppo degli italiani. La convenzione tra lo Stato e Radio Radicale scadrà il prossimo novembre. Con tutto il rispetto per i redattori di GR Parlamento (che ben potrebbero essere destinati a più proficui ruoli RAI), non sarebbe la volta buona per fermare l’ennesima emorragia di soldi pubblici? (M.L. per NL)