Effetto domino sulle normative regionali che impongono ai titolari di reti di comunicazione elettronica (operatori radio-tv e di telefonia mobile) esborsi a copertura dei costi che le A.R.P.A. sostengono per lo svolgimento degli adempimenti legati al controllo delle emissioni elettromagnetiche di impianti radioelettrici.
Il tutto in conseguenza all’orientamento assunto dai giudici delle leggi con sentenze concordanti di cui l’ultima in ordine di tempo è stata quella dello scorso 7 luglio 2010, resa nell’ambito del giudizio di legittimità costituzionale sollevato in via incidentale dal Tribunale di Pisa avverso gli artt. 7, comma 6 e 9, comma 6, della legge regionale della Toscana n. 54/2000, “Disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione” (sentenza C. Cost. n. 272/2010). Nello specifico, le disposizioni impugnate prevedevano – rispettivamente – per quanto concernente la “Disciplina per il rilascio dell’autorizzazione all’installazione od alla modifica degli impianti” e l’espletamento delle “Funzioni di vigilanza e controllo”, che gli oneri relativi all’istruzione dei procedimenti amministrativi di rilascio delle necessarie autorizzazioni all’istallazione di antenne trasmittenti, così come i costi sostenuti dalla Regione nell’assolvimento delle peculiari funzioni di vigilanza e controllo demandate all’A.R.P.A. ed afferenti il rispetto dei livelli di c.e.m. ai sensi della normativa nazionale sui limiti di esposizione della popolazione all’inquinamento elettromagnetico, dovevano essere posti a carico «dei richiedenti l’autorizzazione», ovvero «dei titolari degli impianti fissi per la telefonia mobile, nonché dei concessionari per radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi a carattere commerciale». Il giudizio principale, nello specifico, verteva sull’impugnazione da parte di una nota società di telefonia cellulare di un ingiunzione di pagamento emessa dalla locale concessionaria per la riscossione dei tributi, su crediti vantati dall’Agenzia per lo svolgimento dei controlli sulle istallazioni asservite alla telefonia mobile. In proposito, il giudice remittente assumeva – nel merito della disciplina dalla quale originava la pretesa della P.A. – violato, in relazione agli artt. 3, 41 e 117 della Costruzione, l’art. 93, comma 1, D.Lgs 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), a mente del quale «Le pubbliche amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, omeri o canoni che non siano stabiliti per legge», adottando nell’esporre le ragioni della non manifesta inammissibilità del sindacato di costituzionalità un iter logico – argomentativo condiviso in sede decisoria dalla stessa Corte. L’esito dell’esame delle questioni deferite all’attenzione del Supremo Organo, infatti, conduceva verso l’ammissibilità delle censure proposte dal magistrato, restituendo una declaratoria di incostituzionalità delle norme impugnate. Segnatamente, nella motivazione fornita, la Consulta prendeva le mosse dalla sopravvenuta necessità per il legislatore del 2003 di uniformare – in esecuzione della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002 che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica – l’ordinamento giuridico nazionale di settore ai criteri di tempestività, non discriminatorietà e trasparenza «(…) onde assicurare che vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed effettiva» (cfr. C. Cost., sent. n. 272/2010, citando il 22° considerando della medesima direttiva). Proseguendo, la Consulta evidenziava il lapalissiano contrasto tra le norme regionali di cui agli artt. artt. 7, comma 6 e 9, comma 6 della richiamata L.R. Toscana n. 54/2000 con quella statale contenuta nell’art. 93 citato, risolvendo l’antinomia a favore del Codice delle Comunicazioni per «ragioni essenziali di certezza del diritto», stante la prevalenza della legge statale (di principio) su quella regionale (di dettaglio), desumendo tale principio dall’art. 117, comma 3, della Costituzione relativamente alle materie sussumibili nell’ambito della c.d. legislazione concorrente. Viceversa, nell’argomentazione del Supremo consesso svolta in replica alle deduzioni dell’Amministrazione già opposta innanzi al giudice civile, inaccettabile doveva ritenersi la circostanza in base alla quale «(…) ogni singola Regione potrebbe liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti», ponendo in particolare l’accento sulla salvaguardia della libera concorrenza, definita «(…) sub specie di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore» (cfr. C. Cost., cit., a conferma un filone interpretativo già espresso nella sent. n. 336/2005 e successivamente puntualizzato nella sent. n. 450/2006). Interessante, in merito alla considerazioni di diritto, l’excursus che il Giudice delle Leggi compiva al fine di confermare l’inammissibilità di un inquadramento delle attività demandate all’A.R.P.A. e poste a carico degli operatori delle telecomunicazioni nell’alveo della consulenza tecnica. Infatti, una simile ermeneutica appariva del tutto destituita di fondamento ai Giudici intervenuti, vieppiù se orientata ad affrancare la legittimità delle richieste di anticipazione dei costi istruttori, laddove il necessario parere da richiedere all’Agenzia, peraltro propedeutico al rilascio delle autorizzazioni radioelettriche, costituiva (in generale, nelle legislazioni regionali ed in particolare in quella della Regione Toscana) «(…) un momento procedimentale obbligatorio; ciò che determina il carattere autoritativo ed impositivo della prestazione pecuniaria stessa» (cfr., sul punto, C. Cost., sent. n. 450/2006, Presidenza del Consiglio dei Ministri vs. Regione Valle d’Aosta). Quanto alla difesa esperita dal resistente Ente territoriale, di particolare rilievo assumeva l’asserzione in base alla quale il controllo delle emissioni elettromagnetiche, in quanto materia ed attività afferente alla tutela della salute, doveva ritenersi attratto dalla potestà legislativa ratione materiae concorrente della Regione, non potendosi escludere per la P.A. resistente «(…) la libertà di disciplinare anche il profilo attinente alla ripartizione degli oneri economici conseguenti ai controlli effettuati per le finalità di tutela della salubrità ambientale», sulla scorta di uno specifico corpus normativo di rango primario costituito dall’art. 33 D.Lgs 52/2006 e dagli artt. 11, comma 3 e 18 D.Lgs 59/2005, citati a conforto della lettura fornita. Non persuasa neanche da tale deduzione, infine, la Corte Costituzionale – prendendo le mosse dal principio di specialità – attribuiva la valenza di lex specialis all’art. 93 del D.Lgs 259/2003 che, pertanto, veniva ritenuto «(…) non suscettibile di deroga, dettando una disciplina che esclude, per gli operatori di quel settore (delle comunicazioni elettroniche, n.d.r.) l’imposizione di oneri che non siano previsti dalla legge statale». Evidente, giunti alla conclusione di questa breve disamina, l’importanza della pronuncia resa nell’ambito dell’incidente di costituzionalità sollevato dal Tribunale di Pisa. In primo luogo, consolidato l’orientamento giurisprudenziale sopra riassunto, d’ora in poi ogni sindacato della Consulta su tali materie non potrà che ripercorrere (uniformandosi) alla linee guida indelebilmente tracciate dalla sentenza in commento, conducendo – “a rime obbligate” – verso la caducazione di tutte quelle disposizioni presenti negli ordinamenti regionali che impongano oneri economici (non previsti da leggi statali) a carico degli operatori radiotelevisivi e di telefonia mobile funzionali all’esperimento ed alla gestione delle attività (istruttorie, di vigilanza e/o di controllo) riferibili all’A.R.P.A., con l’unica eccezione costituita dalle fattispecie tassativamente previste dallo stesso art. 93, comma 2, del Codice che, comunque, obbliga tali soggetti a «(…) tenere indenne l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di istallazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime, nei tempi stabiliti dall’Ente locale», ivi compresi oneri o canoni dovuti per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche. Nondimeno, difficile non immaginare la mole di contestazioni che le società impegnate nel settore delle telecomunicazioni inoltreranno alle competenti A.R.P.A., fino a configurare – per il momento nella sola Regione Toscana sul cui ordinamento incidono gli effetti diretti della pronuncia costituzionale – ipotesi di ripetizione – ex art. 2033 c.c. – delle somme ad oggi indebitamente corrisposte agli Enti pubblici, se non addirittura vere e proprie richieste di risarcimento danni secondo lo schema dell’art. 2043 c.c. in quei casi in cui il rapporto giuridico si sia già esaurito, ovvero altre azioni correlate agli effetti che sulla normativa regionale ha già prodotto la sentenza in parola. Insomma, partecipando che alcune regioni (la Liguria in primis) hanno già messo le mani avanti facendo comunicare dalla competente Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente “Ai gestori degli impianti di Telecomunicazioni” che agli effetti della citata sent. 242/2010 resa dalla Corte Costituzionale «non saranno più dovuti oneri aggiuntivi non stabiliti per legge statale», interessante sarà vedere le reazioni di tutto l’entourage politico – amministrativo nazionale ad una tale autorevole presa di posizione da parte del Supremo Organo della Giustizia Costituzionale, che inevitabilmente depaupererà di ingentissime risorse economiche quel settore della P.A. incaricato di vigilare sul rispetto dei limiti di esposizione ai c.e.m. generati dagli impianti delle telecomunicazioni. (S.C. per NL)