Interessante decisione di merito del TAR Veneto su un ricorso presentato da un operatore di telecomunicazioni a riguardo di un provvedimento comunale di diniego di un’istanza ai sensi dell’art. 87 del D. Lgs. 259/2003, per la realizzazione di un impianto radio base per reti di comunicazione elettronica su un terreno incolto classificato dal piano regolatore come “area ad urbanizzazione consolidata” in cui l’edificazione era subordinata alla redazione di un piano attuativo.
Nel merito, il Comune respingeva l’istanza ritenendo ostativa la circostanza che l’area era ricompresa nell’ambito del piano di lottizzazione di iniziativa privata approvato con deliberazione del Consiglio comunale di 7 anni prima e che ove l’impianto fosse stato assentito sarebbero state sottratte alla lottizzazione le aree necessarie a delimitarne la pertinenza esclusiva e a consentire un autonomo accesso allo stesso dalla strada pubblica, incidendo negativamente sull’organizzazione del piano. Il provider tlc impugnava il provvedimento comunale e il TAR accoglieva la domanda cautelare ai fini di un riesame dell’istanza. A distanza di un mese l’ente comunale adottava un nuovo diniego, richiamando le previsioni del piano di lottizzazione e ribadendo di non ritenere assentibile l’impianto perché non previsto dallo stesso, affermando altresì di ritenere necessaria anche la cessione al Comune dell’area destinata ad ospitare l’impianto ed una variante al piano attuativo approvato. La società telefonica impugnava quindi con motivi aggiunti il nuovo diniego. Il TAR adito accoglieva il ricorso ritenendo il medesimo e i relativi motivi aggiunti fondati, posto che l’art. 86 comma 3, del D. Lgs. 259/2003 dispone espressamente che le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni di cui agli art. 87 e 88 sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7, DPR 380/2001. Ad avviso dei giudici veneti, infatti, “Tale assimilazione comporta che, in assenza di specifica previsione per gli impianti in questione, gli stessi debbano ritenersi compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica impressa dagli strumenti urbanistici”. Da tale principio discende che tale tipo di impianti possa essere localizzato anche in aree nelle quali l’edificazione sia subordinata dallo strumento urbanistico alla previa redazione di un piano attuativo, in quanto si tratta di infrastrutture che, non potendo essere assimilate alle normali costruzioni edilizie, non sono assoggettate alle prescrizioni urbanistico edilizie preesistenti che si riferiscono a tipologie di opere diverse e sono state elaborate con riferimento a possibilità di diverso utilizzo del territorio , e che, qualora, come nel caso di specie, sia stato già approvato un piano attuativo, la realizzazione dell’impianto possa essere negata solo ove ricorra una condizione di effettiva ed assoluta incompatibilità con le previsioni del piano. Condizione che tuttavia secondo il TAR Veneto non sussiste nel caso di specie, posto che “come emerge dalla documentazione versata in atti (…) l’area interessata dall’impianto ha una limitata estensione (6 m per 5) ed è posta in un angolo dell’intervento urbanistico posto sul retro dello scivolo che porta al piano interrato, in un punto per il quale il piano attuativo non reca alcuna previsione e che risulta quindi idoneo ad ospitare la realizzazione di servizi tecnologici. Pertanto, contrariamente a quanto reiteratamente affermato dal Comune nei provvedimenti impugnati, non sussiste alcun contrasto con le previsioni del piano attuativo”. “Da quanto esposto – continua la sentenza disaminata – emerge l’infondatezza anche della tesi del Comune secondo la quale dovrebbe procedersi ad una previa variazione delle previsioni del piano attuativo per consentire l’inserimento dell’infrastruttura. Infatti l’istanza per la realizzazione dell’impianto è stata presentata con l’espresso assenso della Società (…), proprietaria delle aree comprese nel piano attuativo dalla stessa presentato, e l’impianto, non comportando alcun sostanziale mutamento del disegno edificatorio previsto dall’elaborato progettuale, non incide sui suoi criteri informatori”. Parimenti privo di fondamento, per l’organo giurisdizionale, era il capo di motivazione del diniego che faceva riferimento alla mancata previsione di una accesso all’impianto dalla pubblica via, atteso che, una volta valutata la conformità dell’istanza alla disciplina applicabile al titolo richiesto, il rilascio del provvedimento abilitativo assume carattere vincolato e l’eventuale interclusione può essere ovviata con la possibilità di ottenere, in via consensuale o giudiziale, la costituzione di una servitù di passaggio ai sensi dell’art. 1051 c.c . Per il TAR risultava inoltre erronea l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, secondo la quale l’area interessata dall’intervento avrebbe dovuto essere ceduta al Comune al pari delle altre aree con destinazioni ad uso pubblico, in quanto l’art. 86, comma 3, del D. lgs. 259/2003, nell’affermare l’assimilazione di tali impianti alle opere di urbanizzazione primaria, precisa che restano “di proprietà dei rispettivi operatori”. Tanto bastava perché, Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe e relativi motivi aggiunti, li accogliesse e, per l’effetto, annullasse i dinieghi impugnati. (M.L. per NL)