E’ all’esame della Commissione Ambiente della Camera, in seconda lettura, il disegno di legge AC 4240-B che, tra l’altro, dovrebbe modificare l’art. 93 del Codice della Comunicazioni, tentando l’uniformazione a livello nazionale delle tariffe relative alle attività istruttorie ed ai controlli in carico ad agenzie regionali e Comuni, prescritti dalla L. n. 36/2001 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici).
La bozza prevede l’inserimento nell’ambito della sopra richiamata disposizione del comma 1-bis, che – salvo modifiche – imporrà l’adozione al Ministero dell’ambiente di un decreto al fine di determinare i costi che gli operatori delle tlc dovranno sostenere per l’installazione o la modifica di impianti radioelettrici in relazione ai controlli di competenza delle autorità locali e regionali. Fin qui tutto sembrerebbe corrispondere ai principi espressi dalla Corte Costituzionale, in ultimo con la sentenza n. 212/2010, laddove aveva ritenuto costituzionalmente illegittimi i tariffari deliberati discrezionalmente dalle autorità regionali – tra l’altro – per violazione dell’art 93, comma 1, del Codice, nella parte in cui prevedeva (e prevede) il divieto per la Pubblica Amministrazione, per le Regioni, per le Province e per i Comuni di imporre oneri o canoni per l’esercizio di impianti asserviti alle tlc che non siano stabiliti per legge statale. Stante il predetto principio, il Giudice delle Leggi era intervenuto su alcune normative regionali (della Valle d’Aosta e della Toscana in particolare), sanzionando l’applicazione di oneri istruttori riscossi dall’A.R.P.A per le attività di controllo e verifica dei campi elettromagnetici generati dalle installazioni radioelettriche, in quanto la quantificazione degli importi veniva rimandata a peculiari listini regionali. Fin qui, niente ci sarebbe da obiettare al d.d.l. se, nel prosieguo e per la parte che qui interessa, non prevedesse un regime transitorio di fatto elusivo della stessa disposizione di legge novellata e delle pregresse pronunce della Consulta. Recita, infatti, il testo del nuovo comma 1-bis al vaglio del Parlamento, che “Nelle more dell’approvazione del tariffario nazionale e fino a quel momento si applicano i tariffari approvati dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano per le prestazioni delle rispettive agenzie ambientali”. Emerge, quindi, con tutta evidenza quella che potrebbe divenire un’indebita (e ci sia consentito, scandalosa) sanatoria dell’illegittima attività – svolta a livello regionale o addirittura provinciale – di imposizione di oneri per il rilascio delle autorizzazioni ex art. 87 D. Lgs. n. 259/2003 a carico degli operatori e, nondimeno, un raggiro del principio emerso negli intervenuti sindacati di legittimità costituzionale sulle normative regionali adottate conseguentemente all’entrata in vigore della Legge Quadro n. 36/2001. Sul punto, ci sia permesso di osservare, ancora una volta, il poco costruttivo allarmismo di alcuni soggetti portatori di interessi degli editori radiotelevisivi che, oramai palesemente disancorati dalla tutela degli interessi degli associati, invece di porre in essere incisive attività di lobbying affinché il d.d.l. possa essere modificato in senso costituzionalmente orientato, si abbandonano in apocalittici proclami. Polemiche a parte, infatti, è in tutta onestà impensabile che le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente possano istruire i procedimenti autorizzatori a costo zero; in proposito, basti pensare la sicura assenza di copertura economica per una legge di tal fatta che, con tutta probabilità, non resisterebbe al vaglio della Ragioneria Generale dello Stato. Nessuna logica vi è nella pretesa di non caricare gli editori radiotelevisivi di “ulteriori oneri”, tanto che la gran parte degli operatori di settore continuano per lo più a sostenerli in base ai tariffari applicati in quelle Regioni la cui normativa non ha risentito dell’intervento della Corte Costituzionale (unico esempio la Liguria, che si è uniformata al dettato della Consulta nonostante la relativa legge regionale non abbia – ad oggi – scontato alcun sindacato di costituzionalità), quando bisognerebbe, invece, insistere per riportare l’attività degli organi regionali nell’alveo normativo del Codice delle Comunicazioni. Infine, stupisce come in Parlamento si abbia poca contezza delle fondamentali questioni giuridiche portate in rilievo dall’attività propedeutica alla legiferazione che si svolge nelle Commissioni, ove – probabilmente – l’alta concentrazione di tecnici produce le aberrazioni sopra accennate, che in quelle alte sedi di concertazione non dovrebbero trovare cittadinanza. L’articolo 25 del d.d.l. qui in esame relativo alle “Modifiche all’articolo 93 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259”, difatti, è fulgido esempio di come in costanza di una norma di legge vigente da oltre 9 anni (l’art. 93 del Codice delle Comunicazioni, appunto), il legislatore non abbia ancora compreso come porre rimedio ad un’autentica antinomia, finora scontata a caro prezzo dagli operatori delle tlc, costretti – in base alla regione di appartenenza della rete trasmissiva oggetto di intervento – a sostenere tariffe differenti per le medesime attività. Ultimo aspetto della querelle che vale la pena di ricordare è la senza dubbio la disparità di trattamento, peraltro profondamente lesiva delle regole della concorrenza, che la normativa finora applicata nel settore delle tlc ha comportato, come in proposito efficacemente sottolineato anche dall’Agcm. A questo punto, non rimane che sperare in un ravvedimento dei membri della Commissione Ambiente o nella solerzia di qualche parlamentare che si faccia avvedutamente carico del problema qui denunciato. (S.C. per NL)