Da mesi prosegue la soap opera che ha per protagonisti Tim, Mediaset e Vivendi e ai fan potrebbero essere riservate ancora molte sorprese.
Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, Pier Silvio Berlusconi ha così commentato questo triangolo: “Tim ha bisogno dei nostri contenuti, è molto interessata a un accordo. Ma c’è sospesa la questione con il loro azionista di controllo Vivendi. Vediamo se questi interessi comuni sui contenuti ci aiuteranno a superare le difficoltà”. Parrebbe quindi probabile un accordo e questo, ovviamente, cambierebbe in maniera significativa la situazione del mercato dei media in Italia.
Tutto è partito nel 1990 con la cd. Legge Mammì (L. 223/1990), la prima legge quadro sulla radiotelevisione italiana pubblica e privata: normativa che riconosceva il duopolio di fatto di Rai e Fininvest (con buona pace dei sostenitori del libero mercato). Si tratta di una legislazione e di un sistema che mai è stato messo in discussione dalle riforme successive; ma che – ad oggi – è sostanzialmente superato: in 27 anni la globalizzazione tecnologica e finanziaria ha completamente rivoluzionato il settore.
Per un verso, la televisione italiana può essere considerata un oligopolio allargato, con il servizio pubblico della Rai, l’azienda del Biscione, La7 e Sky; per un altro, la possibile partnership fra i tre personaggi della telenovela porterebbe a nuove e doverose considerazioni.
In questo clima sembrerebbe, quindi, imprescindibile una riforma del sistema dei media. Occorrerebbe tener conto sia di tutelare e rafforzare il sistema dei media nel nostro Paese; sia delle nuove esigenze del mercato, tra cui si ritrovano possibili accordi strategici con investitori europei (come nel caso Tim-Mediaset-Vivendi) e una generale apertura oltre i confini nazionali.
Come era accaduto per il settore bancario e per quello energetico, anche il mercato radiotelevisivo ha bisogno di una ristrutturazione ed è auspicabile che questa venga inserita nell’agenda del nuovo Governo e del nuovo Parlamento. (G.C. per NL)