Nel momento in cui, pochi mesi fa, la proposta di legge “European single market for electronic communication” (meglio nota come “pacchetto Kroes” dal nome della commissaria per l’agenda digitale Neelie Kroes) veniva licenziata dal Parlamento europeo, già si prevedeva che la prosecuzione del cammino nel contorto iter delle istituzioni comunitarie non sarebbe stato facile.
Nessuno però aveva messo in conto una stroncatura come quella che viene delineata nel recente documento, a cura della presidenza di turno (greca) dell’Unione, che descrive lo stato dei negoziati sul pacchetto all’interno del Consiglio Europeo (dove, com’è noto, si raccolgono le istanze dei governi nazionali). Le obiezioni che vengono mosse sono tante e pregiudizievoli. Più volte si taccia il documento di ambiguità dei termini e scarsa chiarezza sugli obiettivi. Ma l’aspetto che più sembra dare fastidio è la pretesa di “andare oltre” l’attuale quadro regolamentare per rafforzare le prerogative di indirizzo e coordinamento sovranazionali. In sostanza si critica proprio il carattere maggiormente innovativo della proposta Kroes, laddove cerca di attribuire un ruolo efficace alla Commissione nell’attuazione di una politica unitaria europea delle comunicazioni elettroniche. Come era del resto prevedibile, la proposta di unificare gli standard autorizzativi e coordinare a livello continentale la gestione dello spettro radioelettrico viene vissuta dalla maggior parte degli stati membri come una insopportabile ingerenza nella propria autonomia. Si tratta infatti di un tema sensibile, che coinvolge asset strategici come le reti di telecomunicazioni e il sistema dei media. Un settore dove finora i governi hanno potuto muoversi nella quasi totale libertà e che spesso ha rappresentato (grazie al meccanismo delle aste per la cessione delle varie porzioni di spettro) una fonte di guadagni per le casse statali, quanto più preziosa in tempi di crisi.
La contrapposizione è peraltro sintomatica dello stato di inerzia conflittuale che da sempre contraddistingue l’operato delle istituzioni europee, costrette a una mediazione impossibile tra gli interessi dell’Unione e quelli dei singoli stati. A parole tutti convergono sulla necessità che, per competere nel mercato globale, l’UE si doti di una politica unitaria anche in tema di innovazione tecnologica e sviluppo dell’economia digitale. Allo stesso modo tutti riconoscono i vantaggi di un mercato unico continentale in cui le imprese possano contare su regole comuni e muoversi liberamente attraverso i confini nazionali assecondando la tendenza al consolidamento. Al momento di passare dalle enunciazioni di principio all’applicazione concreta di norme cogenti, però, i governi nazionali ripiegano immediatamente sui consueti calcoli di convenienza locale, rifugiandosi nel protezionismo e nelle rivendicazioni di autonomia. Il documento sottolinea più volte che i problemi che ci si propone di risolvere con la nuova normativa possono essere affrontati con successo anche attraverso gli strumenti e l’assetto istituzionale e regolamentare attuale. Si afferma ad esempio, con una certa veemenza, che lo spettro radioelettrico è un asset nazionale e che le esigenze locali devono essere tenute in considerazione: ovvero, le istituzioni comunitarie si devono limitare ad enunciare criteri di massima sull’utilizzo delle frequenze, lasciando liberi gli stati membri di gestire criteri di assegnazione e regolamentazione del mercato. Proprio questo modello, che sostanzialmente è quello fin qui adottato (con le tanto accurate quanto ignorate raccomandazioni del Radio Spectrum Policy Group), è però considerato dai sostenitori del pacchetto Kroes (e non solo) il principale responsabile del ritardo accumulato dall’Europa, nei confronti del resto del mondo tecnologicamente avanzato, sugli standard innovativi della quarta generazione della telefonia mobile (LTE e simili). Allo stesso modo i timidi tentativi di realizzare autorizzazioni multilaterali tra stati e favorire le attività transnazionali (ben lontani dalla paventata “licenza unica europea”) vengono tacciati di inutilità e proposti per la cancellazione. In sostanza, anche nel settore delle comunicazioni elettroniche va in scena la contrapposizione quanto mai attuale tra due idee di Europa. Da una parte la visione di un’Unione dalla precisa identità sovranazionale, capace di esprimere una politica comune nei confronti del resto del mondo, dall’altra la cornice di una comunità, poco più che economica, di stati gelosi dei propri interessi nazionali. Quale possa essere la migliore soluzione in un mondo sempre più globalizzato sembrerebbe ovvio, ma i rassicuranti retaggi del passato sono difficili da superare. (E.D. per NL)