Tutto in una settimana per Telecom Italia – Tim, dove nelle scorse ore Luigi Gubitosi è stato nominato, di domenica, nuovo AD e anche direttore generale da un Cda straordinario.
Il blitz su Gubitosi, voluto dal fondo Elliott e dai suoi alleati (che hanno sottratto in maggio la gestione della società ai francesi di Vivendi), con l’assenso finale dei Consiglieri indipendenti e il dissenso di quelli espressione di Vivendi, ha fatto seguito alla precedente clamorosa decisione di portare il precedente AD e Consigliere Amos Genish alle dimissioni. Tutto era stato ugualmente deciso, in sostanza, nel corso dello scorso week-end (anche se l’ufficialità è arrivata lunedì 12 novembre) e con modalità davvero drastiche (il diretto interessato era assente dall’Italia e in missione all’estero proprio per conto di Telecom). A Genish erano state tolte le deleghe, in quanto, di fatto, espressione di Vivendi, dopo che era stato invece confermato in maggio nel suo ruolo, anche se, alla fine, solo per alcuni mesi.
“Genish è stato già preventivamente confermato nel suo ruolo operativo da Elliott – scrivevano su questo periodico appunto nel maggio scorso – ma bisognerà vedere se accetterà davvero di rappresentare, in qualche modo, anche la nuova maggioranza nella società”. Genish sembra in realtà averci provato ma al momento delle scelte definitive, dopo diversi mesi di ‘galleggiamento’ e di ‘non decisione’, è stato di fatto sostituito abbastanza brutalmente (a molti il metodo di Elliott, che ha solo l’8,8% di Tim, in effetti non è piaciuto), sotto la regia del presidente di Tim Fulvio Conti, che aveva anche assunto provvisoriamente le deleghe di Genish.
Grande, naturalmente, l’irritazione di Vivendi, che resta pur sempre il primo azionista della società di tlc, con quasi il 24% delle quote, ma da alcuni mesi a questa parte si ritrova in minoranza e adesso, con la nomina di Gubitosi, del tutto fuori della ‘stanza dei bottoni’ di Tim. Torniamo a quanto scrivevamo a maggio: “Quello che sembra abbastanza chiaro è… l’appoggio a Elliott da parte degli ambienti governativi, visto che a favore della lista del fondo attivista americano si è schierata anche (determinando anzi l’esito finale) Cassa Depositi e Prestiti, peraltro entrata in scena in Tim molto di recente, acquisendo una quota significativa (arrotondata di recente a quasi il 5%)…
Detto questo, la situazione è adesso ancor più incerta su molti fronti. Fra i temi che sono rimasti sul tappeto in questi mesi ci sono infatti scelte fondamentali per Tim, come la famosa separazione della rete fissa che il Governo vorrebbe, anche per le sue implicazioni strategiche. E soprattutto poi, se questo avvenisse, cosa succederebbe nei rapporti con Open Fiber, la società che Enel e proprio Cassa Depositi e Prestiti hanno varato solo pochi anni fa anche per prendere l’iniziativa in quel fatidico settore della banda ultra larga e della fibra ottica per cui Telecom negli anni ha speso mille parole ma realizzato abbastanza poco?
È ovviamente un po’ paradossale la presenza di una società pubblica come Cassa Depositi e Prestiti in posizione determinante in Open Fiber (50%) e assieme adesso anche nella rivale Tim, con una quota-chiave, al di là della sua entità; la situazione potrebbe quindi anche evolvere in direzione di una unificazione in una sola rete e, a quel punto, anche in iniziative comuni, se non in una sola società. Ma quando, come? Si aspettano chiarimenti”.
Senza dimenticare le decisioni da prendere anche per Persidera, sembra davvero questa la questione, di grande valore strategico, da affrontare per Gubitosi e non pare davvero un caso se nel corso di questa effettiva ‘settimana di fuoco’ per Telecom si sia mosso tutto anche su questo argomento, con l’improvvisa presentazione in Parlamento di un emendamento al decreto fiscale, ad opera del senatore dei Cinquestelle Emiliano Fenu, che prevede proprio che si vada verso la separazione societaria della rete di Tim e ci si avvii verso una unificazione con quella di Open Fiber (al 50% Enel e al 50% Cassa Depositi e Prestiti). Open Fiber stava costruendo una sua rete (una situazione abbastanza assurda, in effetti) e, come abbiamo visto, aveva già messo un piede in Telecom nel corso della scorsa primavera attraverso Cassa Depositi e Prestiti. Insomma, il Governo (quello attuale ma anche, nella sua fase finale, quello di Gentiloni) spinge verso questa soluzione e l’arrivo di Gubitosi, che lascia la carica di commissario straordinario di Alitalia anche se per la compagnia aerea i problemi sono tutt’altro che risolti, sembra un ulteriore segnale fin troppo chiaro in questo senso.
Tutto bene, quindi? Si andrà spediti, attraverso Gubitosi (che è stato anche direttore generale della Rai), a quella operazione di separazione della rete dalle attività operative che era stata ‘accarezzata’ a più riprese in passato e poi mai attuata? Tim, società privatizzata in modo piuttosto maldestro, sarà finalmente e realmente sul mercato in competizione con Vodafone e gli altri e la rete confluirà in una nuova società (si ritiene pubblica) unendo le forze con quella di Open Fiber?
Non pare, in realtà, che le cose siano così limpide e semplici e gli ostacoli sono pur sempre parecchi. Prima di tutto il metodo, di nuovo: si può fare una scelta così importante con un emendamento al decreto fiscale e senza alcun dibattito pubblico in merito? La risposta sembra persino ovvia.
Ma c’è ancora tanto di più da dire. L’emendamento di Fenu prevede infatti un inedito ruolo di ‘regia’ di questa evoluzione strategica nel campo delle tlc per l’Agcom e questa idea sembra piuttosto ardita per un organismo ‘regolatore e indipendente’.
E ancora: quali saranno le conseguenze per una società come Telecom Italia, che deve gestire tuttora un fortissimo indebitamento (al netto dovrebbe essere sui 25 miliardi) che risale già ai tempi di Colaninno e Tronchetti Provera, ha circa 50.000 dipendenti in Italia (più quasi 10.000 in quel che resta degli investimenti all’estero), ha cambiato AD per quattro volte in quattro anni e sul mercato non è detto che resista così facilmente? I sindacati già proclamano che sono a rischio fra i 15.000 e i 25.000 dipendenti, mentre non si sa quali saranno le conseguenze (invece) per Open Fiber e per i suoi dipendenti. Infine, la società che gestirà la futura rete unica sarà davvero tutta pubblica o aperta ai privati? E chi la gestirà? Con quali finanziamenti (già ci sono timori per le bollette)?
Ma ci sono altri dubbi su tutta l’operazione. Bollorè e Vivendi a questo punto si ritireranno in patria o daranno battaglia su tutte queste scelte, che di certo non li vedono, al momento, d’accordo? Il fatto di essere pur sempre, nettamente, i primi azionisti di Tim dà infatti loro il diritto di avere voce in capitolo sulle scelte strategiche più importanti, in cui occorre una maggioranza molto qualificata.
Ma – soprattutto dal punto di vista di questo periodico, che guarda con attenzione al settore televisivo – che ne sarà dello sfortunato tentativo di conquista di Mediaset da parte ancora di Vivendi, che ha tuttora il 28.8 della società, sia pure in parte ‘sterilizzato’? E TimVision che fine farà? Qualcuno si spinge a immaginare una possibile unificazione (stavolta meno velleitaria rispetto al passato) fra una Tim di dimensioni assai ridimensionate e Mediaset, ma la cosa è tutta da vedere. In compenso Vivendi è presente con quote assai significative in entrambe le società. E i francesi sembrano adesso anche molto arrabbiati. (M.R. per NL)