La fusione tra Wind e 3Italia e l’imminente arrivo in Italia dei francesi di Free Mobile di Iliad (conseguenza della fusione stessa) ha, come da noi ipotizzato, dato una forte scossa al mercato delle telecomunicazioni e diverse società stanno cercando contromisure all’aumento della concorrenza e dei servizi offerti.
Kena Mobile, nuovo player lanciato a marzo da Telecom Italia, è al momento la nuova frontiera low cost degli operatori: la tariffa più economica costa 1,99 euro al mese e comprende 200 MB di navigazione e 200 minuti di chiamate, ma esistono sottoscrizioni anche da 3,99 euro e 9,99 euro comprendenti servizi di connessione, messaggistica e chiamate. Purtroppo l’azienda di proprietà di Noverca (gestita dal gruppo Telecom Italia) non è ancora in grado di garantire il 4G, cosa che rappresenta una notevole debolezza nei confronti degli avversari commerciali. Da uno studio di SosTariffe si possono dare valutazioni sul raffronto tra le attuali tariffe di Free Mobile in Francia e quelle dei player nel Belpaese. La media dei canoni italiani è superiore del 22% a quelli di Iliad, ma i transalpini, a parità di prezzo, offrono un numero di sms superiore fino a 8 volte e un traffico dati 9 volte la media di quelli di casa nostra.
Come anticipato in apertura, l’arrivo di Free Mobile è direttamente collegato alla fusione Wind e 3 Italia, posto che il player delle tlc d’oltralpe rileverà le torri in eccedenza (pare 5.000), all’esito della conclusione della verifica sulla ridondanza e della riconversione di una quota della rete H3G (era del resto ovvio che non si sarebbe provveduto ad uno smantellamento dell’infrastruttura non necessaria), demandando poi a Nokia l’attività di implementazione fino al raggiungimento della copertura del territorio. D’altra parte, il 01/09/2016 la Commissione europea ha approvato la fusione dei due operatori confermando Free Mobile come futuro nuovo quarto player mobile italiano attraverso misure correttive applicate a Wind-3 e segnatamente la cessione all’operatore entrante di una determinata quantità dello spettro radio mobile della joint venture proveniente da diverse bande di frequenza (900 MHz, 1800 MHz, 2100 MHz e 2600 MHz), il trasferimento/co-locazione di alcune migliaia di siti per l’installazione di stazioni base mobili dalla joint venture al nuovo operatore e un accordo transitorio (per l’accesso a 2, 3, 4 e 5G) che permetterà al neo network provider italiano di usare la rete della joint venture per offrire ai clienti servizi mobili a livello nazionale fino a quando non abbia costituito la propria infrastruttura.
“Dal punto di vista radiofonico, l’approccio commerciale aggressivo di Free Mobile (che ha già innescato reazioni concorrenziali di altri player) potrebbe determinare un rapido sviluppo dell’ascolto in streaming, facilitando il processo di integrazione delle piattaforme distributive digitali (DTT, sat, DAB+, cioè la cd. “hybrid radio”) mirato a ridurre il radicamento della radio italiana alla modulazione di frequenze, ritenuto in ambito UE eccessivo e distorsivo per la concorrenza”, ha spiegato Stefano Cionini, avvocato dell’Area Affari Legali di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico) e confondatore della law firm MCL.
“Secondo gli analisti nostrani, l’FM (o meglio la radiodiffusione analogica) avrà ancora una rilevanza significativa nei prossimi 15 anni, ma con un’erosione costante da parte degli altri device nell’ordine del 5-10% annuo, con l’effetto che anche i valori economici degli impianti dovrebbero ridursi secondo percentuali simili, anche se non necessariamente identiche”, Ha precisato Massimo Rinaldi, ingegnere di Consultmedia e perito estimatore di complessi aziendali radiofonici.
“La rinnovata corsa all’acquisto degli impianti FM da parte dei player più importanti – ha ribadito Massimo Lualdi, partner di Consultmedia e MCL – trova una precisa logica nella combinazione di tre fattori: la crisi di quelle piccole radio locali incapaci di rimanere su un mercato in corso di completa modificazione (eventi un tempo impensabili come la restituzione spontanea delle frequenze al Ministero per incapacità di sostentamento ed impossibilità di collocazione sul mercato, stanno cominciando a verificarsi); il crollo dei valori delle frequenze FM (ridottisi a 1/4 rispetto al 2007/2008), che le rende molto più accessibili; la necessità di consolidare posizioni da parte dei grandi operatori favorendone le rendite (di posizione) in attesa di un confronto tra fornitori di contenuti puri, privi di controllo proprietario o possessivo dell’infrastruttura diffusiva”.
In effetti, con questa chiave di lettura trovano spiegazioni convergenti azioni tattiche apparentemente tra loro scollegate, come il presidio radiofonico del DTT e del sat con soluzioni di “radiovisione” e “audiografica”, e il consolidamento di aggregatori di flussi streaming (con TuneIn in testa) per l’ascolto indoor (smart tv) e outdoor (smartphone ed auto interconnesse) e l’impiego integrato del formato DAB+. (M.R. per NL)