Come noto, in data 2 agosto 2017 il Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE) ha comunicato le graduatorie delle migliori proposte progettuali per quella che ha definito la “sperimentazione 5G”.
A questa seguirà (scadenza 22 settembre 2017) la procedura negoziata e il rilascio dell’autorizzazione provvisoria alla sperimentazione per i progetti definitivi, che avverranno ad opera di noti operatori commerciali di telefonia mobile.
Obiettivo della sperimentazione è installare e testare il sistema di comunicazione radiotelefonica 5G (“5th generation”) in tre grossi raggruppamenti metropolitani (aree metropolitane di Milano, Prato-l’Aquila e Bari-Matera) in previsione di una successiva adozione della nuova rete a livello nazionale nei prossimi anni. Una situazione che non piace ai medici per l’ambiente riuniti nell’ISDE, una organizzazione internazionale che in Italia è rappresentata dall’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente nata nel 1989 da un gruppo di medici italiani “consapevoli che per garantire la salute di ciascuno, i medici devono occuparsi anche della salute dell’ambiente in cui viviamo, sia come medici che come abitanti della terra”.“Il 5G opererà su frequenze più elevate di quelle sino ad ora utilizzate dai sistemi di radiotelefonia (superiori ai 30GHz) e renderà necessaria l’installazione in area urbana di numerosi micro-ripetitori (con aumento della densità espositiva) a causa degli ostacoli alla trasmissione lineare di questo particolare tipo di segnale da parte di palazzi e aree verdi. In pratica esiste la possibilità che quasi ogni palazzo possa avere una micro-antenna 5G”, spiega una nota dell’ISDE Italia.“Circa 4 milioni di residenti saranno dunque esposti durante la “sperimentazione” a campi elettromagnetici ad alta frequenza con densità espositive e frequenze sino ad ora inesplorate su così ampia scala – continua il comunicato -. Indipendentemente dagli effetti biologici più noti e generali dell’elettromagnetismo ad alta frequenza (ad esempio quelli che hanno portato la IARC a definirlo nel 2011 “possibile cancerogeno”, quelli successivi al 2011 in base ai quali i dubbi residui sulla cancerogenicità si sono ridotti al lumicino e quelli sui possibili effetti riproduttivi, neurologici e metabolici), specifiche evidenze scientifiche preliminari hanno mostrato come l’esposizione a frequenze superiori ai 30 GHz possa alterare l’espressione genica cellulare, possa aumentare la temperatura della cute , stimolare la proliferazione delle cellule, alterare le proprietà delle membrane citoplasmatiche e la funzionalità dei sistemi neuro-muscolari e modulare la sintesi di proteine coinvolte in processi infiammatori e immunologici , con potenziali effetti sistemici.
Sono certamente necessari ulteriori approfondimenti scientifici orientati ad esplorare in maniera più compiuta gli effetti biologici delle esposizioni a tali specifiche frequenze elettromagnetiche. Tuttavia, non si può negare che le evidenze già esistenti, seppur preliminari, giustifichino la possibilità di effetti sanitari sugli esposti (soprattutto sulle fasce più vulnerabili, come donne in gravidanza ed età pediatrica) successivi alla realizzazione di una “sperimentazione” tecnologica ideata per fini commerciali. A questo proposito, pur essendo la “sperimentazione” pianificata dal MISE possibile e attuabile in termini di legge, non appare etico ignorare le evidenze disponibili ed attendere la eventuale (ovviamente non auspicabile) dimostrazione a posteriori del danno in presenza di un possibile rischio per la salute pubblica attuale e controllabile, anche in considerazione della possibilità concreta di migliorare dal punto di vista tecnologico le esigenze comunicative utilizzando, in via alternativa, le fibre ottiche come valido complemento alle infrastrutture di radiotelefonia mobile esistenti”.
E arrivando al dunque, ISDE Italia, “nel rispetto del principio di precauzione e del principio OMS “Health in all policies”, ritiene opportuna la richiesta di una moratoria per l’esecuzione delle “sperimentazioni 5G” su tutto il territorio nazionale sino a quando non sia adeguatamente pianificato un coinvolgimento attivo degli enti pubblici deputati al controllo ambientale e sanitario (Ministero Ambiente, Ministero Salute, ISPRA, ARPA, dipartimenti di prevenzione), non siano messe in atto valutazioni preliminari di rischio secondo metodologie codificate e un piano di monitoraggio dei possibili effetti sanitari sugli esposti, che dovrebbero in ogni caso essere opportunamente informati dei potenziali rischi”. (E.G. per NL)