Telecamere per la videosorveglianza per prevenire e contrastare la criminalità diffusa: questa la maggiore novità del decreto sicurezza (dl 14/2017) recentemente trasformato in legge.
I sistemi di sorveglianza potranno essere installati sulla base di progetti presentati sia da soggetti pubblici, ossia i Comuni, che privati. Questi ultimi possono essere coinvolti nella pianificazione di misure di sicurezza grazie ai “patti per l’attuazione della sicurezza urbana” di cui all’art.5 del decreto. Nello specifico, i progetti potranno essere presentati da “enti gestori di edilizia residenziale ovvero, da amministratori di condomíni, da imprese, anche individuali, dotate di almeno dieci impianti, da associazioni di categoria ovvero da consorzi o da comitati comunque denominati all’uopo costituiti fra imprese, professionisti o residenti”. La videosorveglianza “privata”, secondo l’art. 7 della normativa, consiste in “sistemi di sorveglianza tecnologicamente avanzati, dotati di software di analisi video per il monitoraggio attivo con invio di allarmi automatici a centrali delle forze di polizia o di istituti di vigilanza privata convenzionati” ed è consentita purché inserita nelle specifiche esigenze di “sicurezza urbana”, ribadite nella medesima disposizione.
Non si tratta di misure economiche: per dare impulso alla realizzazione dei sistemi di videosorveglianza, il legislatore ha previsto un fondo specifico per gli enti pubblici che consta di “7 milioni di euro per l’anno 2017 e di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019”, mentre per i privati è prevista la possibilità di detrazione – dal 2018 -dalle imposte comunali principali (IMU e TASI) “degli oneri di investimento, di manutenzione e di gestione dei sistemi tecnologicamente avanzati realizzati in base ad accordi o patti”.
Il decreto apre dunque la possibilità che le città vengano pervase dalle telecamere, tralasciando però l’importante punto del bilanciamento con la tutela della privacy. Nel testo di legge manca ogni riferimento ai limiti dell’installazione dei sistemi di sorveglianza o della possibilità di utilizzo delle immagini, come anche ai soggetti titolari del trattamento delle medesime. Sul punto si era già espresso in passato il Garante della privacy. Un provvedimento generale del 2010, infatti, sancisce l’obbligo di informativa con appositi cartelli per l’attivazione di videosorveglianza privata (e nulla dice riguardo quella pubblica). L’Autorità aveva inoltre stabilito che il termine massimo per la conservazione delle immagini fosse normalmente di 24 ore, ma che per i Comuni nei soli casi in cui l’attività di videosorveglianza sia finalizzata alla sicurezza urbana, questo termine possa essere dilatato fino a 7 giorni.
La questione è delicata: senza gli opportuni limiti e contrappesi le misure del nuovo decreto potrebbero valicare l’obiettivo di aumentare la sicurezza urbana, con un’incidenza sulla sfera privata tale da essere lesiva per un altro bene, quello della riservatezza (o privacy), che merita un più attento bilanciamento. (V.D. per NL)