Il 1° aprile presso l’Ispettorato Territoriale per l’Emilia Romagna del Ministero dello Sviluppo Economico si è tenuta la cerimonia di consegna della “patente di Radioamatore per chiara dama” a Giovanni Pelagalli, fondatore dell’omonimo Museo della Comunicazione e del Multimediale di Bologna.
All’incontro, al quale era presente anche questo periodico, vi erano diversi rappresentanti del mondo della Comunicazione e delle istituzioni pubbliche. La lietezza dell’evento è stata tuttavia immediatamente adombrata dalla notizia che il celebre ed unico Museo delle Comunicazione e del Multimediale – riconosciuto patrimonio UNESCO – sarà presto trasferito all’estero. A darne conto è stato lo stesso Pelagalli, che ha spiegato come la sua offerta di donare (sic!) il prezioso patrimonio tecnologico e culturale (2000 pezzi che percorrono 250 anni di storia della comunicazione) sia stata, di fatto, immotivatamente rifiutata dal Comune di Bologna, così aprendo le porte ad organizzazioni estere che si sono proposte per rilevare (offrendo somme importanti) il Museo, il quale, suddiviso in dodici impegnativi settori, è da tempo alla ricerca di una nuova collocazione. La notizia documentata (Pelagalli ci ha fornito copia degli atti relativi alle relazioni sul punto col Comune di Bologna) ha determinato un pressoché totale mutamento del programma degli interventi dei presenti, che, all’unanimità, hanno stigmatizzato l’incomprensibile decisione dell’amministrazione cittadina, peraltro indirettamente lì rappresentata da alcuni esponenti. Da sempre oggetto di visite di comitive studentesche, che invariabilmente rimangono affascinate dal contatto diretto con gli albori delle tecnologie delle comunicazioni che permeano il quotidiano di ciascuno di noi (dai fonografi ai grammofoni; dalle macchine musicali meccaniche del ‘700 e dell’800 ai primi computer, passando da telefoni rudimentali e da improbabili magnetofoni), il Museo – affidato all’Associazione Culturale no profit per il Museo fondata da Pelagalli nel 2000 – rappresenta un caso unico in Italia e ha ricevuto nel tempo onorificenze e tributi (tra i tanti, dai presidenti Napolitano, Ciampi e Scalfaro). “Qui mio padre rivive”, ebbe a scrivere sul registro ospiti del Museo la principessa Elettra, figlia di Guglielmo Marconi, spesso presente nei dodici settori dell’ente, dove si respira il genio dello scienziato bolognese. E qui, ancora una volta, è stato assegnato dall’ottusità politica l’ennesimo vergognoso colpo al nostro patrimonio culturale. (E.G. per NL)