Per alcune ore, il mondo è tornato al 2010, cioè all’epoca a.w., avanti WhatsApp.
La piattaforma di messaggistica più famosa del mondo, ideata nel 2009 da Jan Koum e da Brian Acton, due ex impiegati di Yahoo!, si è bloccata ieri sera in molte aree del mondo, dall’India agli Stati Uniti, Italia compresa. Il servizio è ripreso dopo alcune ore, con i tecnici del gruppo di Facebook, la società che ne è proprietaria dal 2014 dopo un acquisto da 19 mld di dollari, alacremente al lavoro per cercare la causa del blocco. WhatsApp ha iniziato a non funzionare più verso le 22:30 ora italiana, scatenando subito un tam tam in rete, con l’hashtag #whatsappdown. Tra le ipotesi più ricorrenti per motivare il crash: l’attacco di hacker (e qui si spazia dall’Isis ai nordcoreani, dai cinesi agli iraniani, dai concorrenti diretti di FB all’impiegato infedele della compagnia che ha sabotato il sistema, oltre alla sicura presenza in rete di un’azione dimostrativa di una potenza aliena). Ventilata anche l’idea che si possa trattare di un’azione di marketing di Facebook stessa, per dimostrare l’importanza raggiunta dalla piattaforma ,oppure, per dirla con Jannacci, “per vedere l’effetto che fa”. Anche perché non è ancora chiaro dove sia il business, posto che fino al 17/01/2016 l’applicazione prevedeva (dal momento dell’attivazione) un periodo di prova di 1 anno e successivamente il pagamento di un abbonamento annuale di € 0,89, poi variato nella possibilità di abbonarsi per 3 anni al prezzo di € 2,40 o per 5 anni a € 3,34 (e la possibilità di pagare per un amico). Sennonché, dal 18/01/2016, i vari abbonamenti sono stati aboliti e WhatsApp è diventata gratuita per un tempo illimitato con la garanzia che sarà sempre priva di pubblicità. Ma la gestione di dati personali di milioni di persone non ha prezzo. Come Mark Zuckerberg sa bene. (E.G. per NL)