Il 5G preme e la Commissione Europea mette sotto pressione gli stati UE per liberare la banda 700 MHz (quella che oggi occupa i canali dal 50 al 59 UHF): entro il 2019 occorrerà avere il quadro definitivo per consentire l’esodo delle televisioni che comunque non dovranno stare più strette, visto che in coincidenza partirà il DVB-T2.
Ma ovviamente la banda 700 MHz non basta per le esigenze del caso: servono 30 GHz e più di spettro, cioè 15 volte di più di quanto impiegato oggi per 2G, 3G e 4G che dovranno essere rastrellati anche dalla banda C (3.4-3.8 GHz), dalla parte bassa della banda Ka (26-40 GHz, attualmente sfruttata dagli operatori satellitari) e dalla K (18–27 GHz).
La discussione è fissata alla prossima Conferenza mondiale sullo spettro radio dell’ITU (WRC19) perché non si può più attendere: l’Internet of Things ha fame di banda per gestire la nuova elettronica (che passerà da 7 miliardi a 50 miliardi di apparati connessi entro il 2020) e la banda larga è, giuridicamente, un bene di prima necessità (qualcuno dice che sarà “come l’ossigeno”) ed il 4G è ormai una tecnologia incapace di sostenere lo sviluppo del traffico.
Ubi maior, minor cessat: la tv non è più la priorità assoluta a livello politico.
D’altra parte, il business del 5G è appetitoso per tutti: se in Europa si stanziano miliardi di euro, in Cina e Corea del Sud siamo già alla post-sperimentazione, col target di essere on-air/online in occasione delle Olimpiadi invernali del 2018.
Solo la Commissione Europea ha messo lì 700 milioni di euro per lo sviluppo del nuovo standard wireless, da destinare entro il 2020 nell’ambito del programma di coinvestimenti pubblico-privato lanciati nel 2013, mentre i privati hanno messo sul banco 3 miliardi. Il tutto tenuto conto che il roll-out delle prime celle 5G sarà entro fine dicembre 2017, con l’obbiettivo di arrivare pronti ai Campionati europei di calcio del 2020.
Ma il problema è sempre quello della progressione e quindi si studia lo standard intermedio, come nel caso della radio (che passerà dall’analogico al digitale attraverso l’ibridizzazione e la multipiattaforma per arrivare entro 10-15 anni ad un domicilio totalmente IP).
La soluzione studiata si chiama 5G NR, dove la sigla sta per New Radio e sarà presentata a marzo 2019 in Croazia in occasione dell’incontro dell’ente di standardizzazione 3GPP RAN e successivamente attivata con la rapidità che la richiesta di banda impone attraverso lo sfruttamento delle reti LTE esistenti. A supportare il nuovo formato ci sono tutti i principali player della telefonia (AT&T, NTT Docomo, SK Telecom, Vodafone, Ericsson, Qualcomm, BT, Telstra, Korea Telecom, Intel, LG Uplus, KDDI, LG Electronics, Telia, Swisscom, TIM, Etisalat, Huawei, Sprint, Vivo, ZTE e Deutsche Telekom).
La Commissione Europea è pronta ad introdurre ogni strumento o correttivo di facilitazione: dall’assegnazione delle frequenze, alla durata delle licenze d’uso, da un una diversa gestione dello sharing fino all’affidamento in “leasing” di porzioni di spettro.
Sul fronta nazionale, il governo italiano sta studiando le modalità dell’asta per l’assegnazione delle frequenze per il 5G che dovrà svolgersi nel 2018 sarà inserito nella prossima Legge di bilancio) e che dovrebbe consentire allo Stato di incamerare 2 miliardi di euro di cui una parte servirà per indennizzare gli operatori tv che dovranno sloggiare dai 700 MHz.
Ma non c’è tanto da banchettare per le tv: l’aspettativa di introito di 2mld riguarda anche le frequenze 24.25-27.5 Ghz, 3.4-3.8 GHz, nel cui segmento 3.6-3.8 GHz ci sono circa 100 MHz liberi, cioè tanti quanti quelli dei 700 MHz. (E.G. per NL)