Testo audizione alla Camera e al Senato sul caso Telecom

Con la decisione del 1° aprile per la 1^ volta l’azionista Pirelli ha deciso di cedere il controllo di Olimpia


Si è trattato di una decisione di grande rilievo, per gli azionisti e per il Paese. In gioco non è la ricerca di eventuali partnership industriali, come era avvenuto nei mesi scorsi nel caso di News Corporation e Telefonica.

In gioco è il controllo stesso della Telecom.

Essendo in gioco il destino della nostra principale azienda privata, sarebbe stato incomprensibile – ed irresponsabile – un atteggiamento di indifferenza da parte del Governo.

Nessun Governo di un grande Paese occidentale sarebbe indifferente, e noi non lo siamo.

Sin dal primo momento il nostro atteggiamento è stato improntato a preoccupata attenzione per l’evolversi della vicenda, ad assoluto rispetto dei diritti degli azionisti e delle dinamiche di mercato, ad attenzione alle regole e alle Autorità indipendenti che devono farle rispettare.

C’erano – e ci sono – innanzitutto alcuni interessi di carattere generale da sottolineare e da difendere. Interessi del Paese, non di una parte politica.

Penso all’unitarietà dell’azienda, comprese le sue presenze estere che – per quanto ridimensionate – contribuiscono in modo rilevante ai suoi ricavi. Si pensi che Tim Brasile, oggi al centro di tante attenzioni, ha raddoppiato in due anni la propria clientela.

Penso al mantenimento della sua forza occupazionale, con 84.000 dipendenti.

Penso alla sorte del cervello innovativo e di ricerca, che tanti successi ha avuto anche in anni recenti specie nella telefonia mobile.

Penso, infine, alla delicata questione dell’accesso e della qualità di quella parte della rete che costituisce monopolio naturale non replicabile e che nei prossimi anni richiederà investimenti per portare fibra ottica e servizi a banda larga.

Tutti elementi che interessano i nostri concittadini e che influiscono sulla qualità di servizi essenziali. Non è una rete qualsiasi, è il sistema nervoso della nostra economia.

Chiedo di rispettare questo interesse generale non meno di quanto è giusto rispettare gli interessi degli azionisti Pirelli.

A questo interesse generale, che il Governo ha il diritto – dovere di delineare, sì è aggiunta una sfida per il nostro mercato delle imprese e dei capitali.

La cosiddetta italianità per il Governo può essere un auspicio, non certo una condizione da perseguire con interventi amministrativi o barriere imposte per legge .

Ma per il mercato è una sfida. Non una sfida impossibile, viste le cifre in ballo per acquisire il controllo di Olimpia. Una partita che, imprese e capitali del nostro Paese possono affrontare e vincere solo contando sulle proprie forze e non sulla benevolenza dell’arbitro, ossia dello Stato.

Quando si auspica uno Stato regolatore e non protagonista invadente del mercato, il Governo italiano è dunque perfettamente d’accordo. Ed ha le carte in regola per dirlo. Lo dice perchè lo fa. Sono certo che questa sia anche la convinzione dell’Ambasciatore degli Stati Uniti.

Consapevolezza dell’interesse generale, attenzione alle regole ma nessuna interferenza.

Le vie dell’interventismo in questa materia sarebbero del resto assolutamente impraticabili nel quadro normativo italiano ed europeo.

Vediamo innanzitutto i poteri teoricamente nella disponibilità del Governo.

L’esercizio dell’attività di operatore telefonico è soggetto non più a una licenza ma ad una autorizzazione generale della durata di 20 anni. Tale autorizzazione può essere ceduta a terzi.

Il Codice delle Comunicazioni prevede che da parte del Ministero venga verificata la mancanza di condanne penali da parte degli amministratori delegati e/o dei rappresentanti legali dell’impresa, l’iscrizione della stessa alla Camera di commercio e l’appartenenza dell’impresa all’Unione europea o allo Spazio economico europeo (SEE) o ad uno Stato che applichi condizioni di piena reciprocità. Il Ministero inoltre qualora abbia prova di violazione delle condizioni dell’autorizzazione generale, dei diritti d’uso tale da comportare un rischio grave e immediato per la sicurezza pubblica, l’incolumità pubblica o la salute pubblica, o da ostacolare la prevenzione, la ricerca, l’accertamento di perseguimento di reato o da creare gravi problemi economici od operativi ad altri fornitori o utenti di reti o di servizi di comunicazione elettronica, può adottare una serie di sanzioni.

Al Ministero dell’Economia fa capo ciò che resta della cosiddetta golden share, sulla quale peraltro la Commissione ha recentemente deferito l’Italia presso la Corte di giustizia europea.

I relativi poteri speciali tra cui l’opposizione a partecipazioni rilevanti (sopra 3%) sono utilizzabili esclusivamente ove ricorrano “rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in particolare con riferimento all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità pubblica e alla difesa, in forma e misura idonee e proporzionali alla tutela di detti interessi, fermo restando il rispetto dei principi dell’ordinamento interno e comunitario” (art. 1 decreto 10 giugno 2004).

Come si vede l’uso di questi poteri nelle vicende che si sono profilate in queste settimane sarebbe improponibile. Aggiungo che le vie di un interventismo sono comunque sbagliate.

Sarebbe sbagliato immaginare salvataggi pubblici

– perchè Telecom non è un’azienda decotta da salvare: basti pensare che nell’ultimo bilancio, relativo all’esercizio 2006, Telecom Italia ha registrato un Ebitda pari a 12,850 miliardi di Euro, con un margine sui ricavi del 41,1%; questo dato è migliore, fra gli incumbent europei comparabili, se confrontato col 36,2% di Telefonica, il 35,9% di France Telecom ed il 26,6% di Deutsche Telekom.

– perchè si può discutere della privatizzazione decisa dieci anni fa nel contesto nella liquidazione dell’Iri e dell’aggancio italiano all’Europa dell’Euro. Ma questa discussione non può sfociare in interventi di ripubblicizzazione.

Sarebbe sbagliato – e contrario alle regole europee – decidere per legge, o, peggio, addirittura per decreto, la separazione di una parte della rete Telecom. La separazione deve delinearsi nel confronto tra Telecom, altri operatori e Autorità di garanzia.

Per questo il Governo ha dedicato particolare attenzione all’attività del Regolatore Agcom in merito alla rete di accesso.

Non si tratta di un’attenzione dell’ultima ora, tanto meno di cambiamenti “in corsa”.

L’emendamento che il Governo proporrà a un DDL, probabilmente il DDL sulle liberalizzazioni, attribuisce ad Agcom, all’esito della verifica sulla ricorrrenza delle circostanze eccezionali, il potere di definire regole dirette ad assicurare che l’amministrazione e la gestione di tutti gli elementi che compongono la rete di accesso e le risorse correlate, siano sottoposte, nei riguardi dell’operatore titolare di notevole forza di mercato, ad un regime improntato, anche attraverso le più appropriate misure organizzative, a criteri di autonomia, di neutralità e di separazione funzionale dalle altre attività dell’impresa, con la piena garanzia della parità di trattamento esterna ed interna per tutti gli operatori che chiedono accesso.

L’Autorità stabilisce altresì le modalità attuative delle regole di cui sopra, ivi inclusa la definizione del perimetro delle attività soggette a separazione.

E’ pienamente condiviso dall’ UE – alla quale andrà comunque notificato – come mi ha confermato la Commissaria Viviane Reding dopo ampie consultazioni tra i nostri uffici.

E’ un passaggio – non è il primo, non sarà l’ultimo – coerente con un percorso di rafforzamento del ruolo dei Regolatori indipendenti che ha avuto diverse tappe nell’ultimo anno.

Un percorso la cui base è nella direttiva accesso, recepita nel nostro ordinamento nel 2003.

Un percorso che si alimenta da quanto emerso dall’esperienza britannica dove la separazione di una divisione di BT guidata da Agcom ha prodotto risultati interessanti sia per la riduzione del contenzioso tra incumbent e altri operatori, sia per la moltiplicazione del numero di operatori che – grazie alle garanzie di equivalenza di accesso – hanno deciso di investire sulla rete.

Anche in Italia si tratta di puntare, con un nostro modello, ai medesimi due obiettivi: equivalenza di accesso alla rete e remunerazione per gli investimenti assai cospicui che si rendano necessari.

Tale obiettivo abbozzato da Agcom già nella relazione annuale del luglio scorso, venne poi rilanciato da Telecom l’11 setttembre 2007 quando il CdA decise di avviare il negoziato con Agcom. Proprio a questo fine l’Autorità a fine settembre ha istituito una apposita task force che sta lavorando con Telecom e altri operatori.

Molti sono i nodi da sciogliere in questo confronto. Si tratterà di separazione funzionale o societaria? In che modo verrà assicurato un quadro certo per gli investimenti? Quale governance per la parte separata della rete? Quale perimetro per questa separazione?

Su nessuno di questi nodi l’emendamento si sostituisce ad Agcom: si limita a rafforzarne gli autonomi poteri. E anche in questo caso si tratta di una politica che il Governo segue dall’atto della sua istituzione.

Lo abbiamo fatto con l’art. 14bis del primo decreto sulle liberalizzazioni che attribuisce ad Agcom il potere di rendere obbligatori gli impegni assunti da un’impresa del settore.

Lo abbiamo fatto modificando l’art. 98 del Codice delle Comunicazioni che inasprisce le sanzioni in caso di violazione di varie norme del Codice stesso.

Lo faremo con il ddl 1825 sul sistema televisivo rendendo assai più efficace l’attività di controllo e sanzione dell’Autorità.

Intendiamo farlo con l’emendamento che prima ho richiamato.

AT&T nel comunicato ha motivato il ritiro della propria offerta per 2 ragioni: “incertezza su alcuni elementi della regolazione e altri problemi concernenti il business”.

Ignoro quali siano questi problemi concernenti il business. E ho il massimo rispetto per le imprese quando decidono se un affare sia più o meno conveniente.

Ma per quel che riguarda l’incertezza, se essa è relativa al processo che ho descritto, in atto da mesi e che certo non si concluderà prima di fine anno, è un’incertezza che caratterizza tutti i mercati europei, da UK, che ha impiegato a varare Open Reach oltre due anni, alla Repubblica federale Tedesca, che ha deciso per legge la protezione dell’incumbent e che per questo con ogni probabilità andrà incontro a un procedimento di infrazione comunitaria.

Lo stesso quadro regolamentare europeo – che pure risale ad appena 5 anni fa – si sta ponendo il problema di come evolvere includendo il tema della separazione funzionale della rete.

E’ vero che il quadro è in evoluzione e prendo atto delle dichiarazioni dello stesso Tronchetti Provera, che ieri ha detto “chiederemo al management di Telecom Italia di agevolare in ogni modo il negoziato con Agcom sulla rete affinchè si arrivi il prima possibile a un quadro regolamentare certo e definito”.

Ma il fatto che in Italia e in Europa il quadro sia in evoluzione non vuol dire che esso sia incerto. Le leggi ci sono, le Autorità le fanno rispettare.

Le intenzioni del Governo sono chiare, espresse dal Presidente del Consiglio e dai Ministri competenti. Il dibattito fra le forze politiche, l’attività legislativa, il confronto tra operatori e regolatori non sono fonte di incertezza. Sono il modo di funzionare della democrazia.

E con altrettanta forza voglio dire che il nostro quadro regolamentare – e il presidio che ne fanno le autorità indipendenti – non ha nulla da invidiare a gran parte dei maggiori Paesi. Anzi su alcune sfide cruciali sul piano regolatorio, penso all’unbundling (con oltre 2,5 milioni di linee), siamo i primi della classe.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Unione Europea, relativo all’anno 2006, “in Italia hanno trovato conferma trend positivi in temini di crescita nei mercati della banda larga e mobile (incluso in particolare il 3G) e di miglioramenti nella competizione in tutti i segmenti di mercato. Grazie ad una efficace contesto di regole e prezzi, la penetrazione della banda larga e dell’unbuldling del local loap nello scorso anno è cresciuto in modo sostanziale”.

Lo dimostra la presenza di capitali e di investimenti stranieri, europei ed extraeuropei. E’ davvero bizzarro che si dica che facciamo scappare gli investitori quando in questo settore le imprese sono quasi tutte straniere e proprio in queste settimane è in corso un’Opa per il controllo da parte di Swisscom del nostro secondo operatore di rete TLC (Fastweb)

Grazie a investitori stranieri e italiani e a un buon quadro regolamentare, abbiamo un mercato TLC con tassi di crescita doppi o tripli rispetto alla nostra economia, con settori all’avanguardia in Europa. Un mercato che oggi ha di fronte la sfida delle reti di prossima generazione con le quali garantire accesso universale alla banda larga e ai suoi servizi con tariffe decrescenti.

Voglio assicurare alla Commissione che il Governo proseguirà nella sua linea di promozione degli interessi generali, di non interferenza ma di grande attenzione per le regole e per i poteri delle Autorità indipendenti.

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