Audizione del Presidente dell’Acom Corrado Calabrò presso la Commissione per l’indirizzo generale e la vigelanza dei servizi radiotelevisivi.
1. Un bilancio della par condicio
Si è da poco conclusa una lunga tornata elettorale.
Come ho esposto nella mia Relazione al Parlamento del 7 luglio scorso, questa volta, ancor più che in passato, ci siamo trovati di fronte ad un mutamento di scenario rispetto alla data di emanazione della legge sulla par condicio.
Avevo già accennato a codesta Commissione, nell’audizione dell’8 aprile scorso, dedicata alla reciproca consultazione sulle disposizioni di attuazione della par condicio per le elezioni europee, i problemi che insorgono nell’applicare le regole dettate per i programmi di comunicazione politica (le classiche tribune elettorali) – ai quali si applica la distribuzione degli spazi in maniera matematica, secondo il principio della parità di accesso di tutti i competitori politici – ai programmi di informazione – ai quali si applicano i principi generali in materia di obiettività, completezza e imparzialità dell’informazione -.
Come avevamo previsto, tutte le liste in competizione (ben 16 nella tornata elettorale europea), appellandosi alla legge, hanno invocato la parità di accesso alle trasmissioni di informazione, mentre non abbiamo ricevuto alcun reclamo (a parte l’episodio del Comitato promotore del referendum, che abbiamo portato all’attenzione di codesta Commissione) per le trasmissioni di comunicazione politica.
E come dar loro torto, considerata l’influenza che i telegiornali e le trasmissioni di approfondimento informativo esercitano sull’elettorato, rispetto alle tribune politiche che hanno ormai scarso appeal.
Secondo un’indagine del Censis, il 69,3% degli elettori si è informato attraverso le notizie e i commenti trasmessi dai telegiornali per scegliere chi votare. I Tg restano il mezzo principale per orientare il voto soprattutto per i meno istruiti (76%), i pensionati (78,7%) e le casalinghe (74,1%). Al secondo posto si colloca ancora la tv con i programmi di approfondimento (come Porta a Porta, Matrix), a cui si è affidato il 30,6% degli elettori. Si tratta soprattutto di persone più istruite e residenti nelle grandi città, mentre i giovani risultano meno coinvolti da questo format televisivo (il 22,3% nella classe di età 18-29 anni). Segue la carta stampata con il 25,4% degli elettori. I canali satellitari “all news” sono seguiti dal 6,6% degli italiani, mentre la radio è seguita dal 5,5%. Internet non sfonda, in Italia, nella comunicazione politica: solo il 2,3% degli italiani maggiorenni si è collegata ai siti web dei partiti per acquisire informazioni e solo il 2,1% ha visitato blog e forum di discussione come Facebook; dato che però aumenta tra gli studenti (7,5%). Nelle elezioni presidenziali USA, invece, Internet ha influenzato il 30% degli elettori.
L’Autorità è stata ben attenta a vigilare che i politici partecipassero solo alle trasmissioni ricondotte alla responsabilità di una testata giornalistica (secondo l’articolo 1, comma 5, della legge 515 del 1993) e , ricorrendo anche alla moral suasion, ha scoraggiato ab origine le “incursioni” nelle trasmissioni di intrattenimento.
Non di meno durante la campagna elettorale un numero molto alto di trasmissioni, anche di info-entertainment, è stato ricondotto sotto la responsabilità delle testate giornalistiche (come Uno mattina su Rai Uno) proprio per poter ospitare i politici senza violare la legge. Ma -ripropongo la domanda- se da un punto di vista formale la legge è stata rispettata, basta il conduttore, a volte anche non giornalista, per assicurare il contraddittorio?
Il panorama è ancor più complicato per il proliferare di trasmissioni di approfondimento che utilizzano format analoghi a quelli della comunicazione politica vera e propria (dibattiti, tavole rotonde, interviste, conferenze) e che trattano di temi politico-elettorali. Il che rende oltremodo difficoltoso coniugare i principi di autonomia editoriale e giornalistica e di attualità della cronaca – tipici delle trasmissioni di informazione -, con quelli della parità di accesso e trattamento – tipici della comunicazione politica.
Attraverso il monitoraggio dei programmi (durante il periodo della campagna elettorale abbiamo pubblicato i dati settimanalmente) abbiamo verificato l’andamento dell’informazione. In più di un caso siamo dovuti intervenire d’ufficio.
Con la delibera n. 77/09 abbiamo inizialmente richiamato tutte le emittenti pubbliche e private ad attuare l’immediato riequilibrio dell’informazione, in quanto dai dati del monitoraggio del periodo dal 29 aprile all’8 maggio emergeva uno squilibrio nella presenza delle forze politiche, in particolare tra quelle maggiori e quelle di nuova formazione, e una sovraesposizione del Governo.
Con la delibera n. 85/09, anche a seguito di numerosi esposti pervenuti dalle liste di nuova formazione, ed in base ai dati del periodo dal 9 al 16 maggio (prima e seconda settimana della seconda fase della campagna elettorale) abbiamo indirizzato una diffida alle emittenti, indicando anche una serie di criteri esegetici ed applicativi per il rispetto del pluralismo, quale quello della parità di trattamento e dell’equa rappresentazione di tutti i soggetti politici competitori ai fini del corretto svolgimento del confronto politico su cui si fonda il sistema democratico. Inoltre abbiamo esplicitato che la presenza di rappresentanti del Governo, qualora candidati alle elezioni, deve trovare fondamento in obiettive esigenze informative legate all’attività dell’esecutivo, le quali non costituiscano una forma di esposizione di tesi politiche e/o propaganda elettorale.
Dopo questi interventi, pur verificando una tendenza al riequilibrio (dati del periodo 24-31 maggio), abbiamo ordinato alle emittenti di proseguire ulteriormente in tal senso, soprattutto nei confronti delle liste diverse dai partiti maggiori, per garantire loro, entro la fine della campagna elettorale, una ragionevole parità di trattamento con analoghe opportunità di ascolto (delibera 106).
Non abbiamo mancato, peraltro, di intervenire sui singoli esposti presentati dalle liste in competizione, emanando specifici ordini di riequilibrio (su segnalazione dei Radicali, Italia dei Valori, UDC, Sinistra e Libertà, Comunisti Europei, La Destra e Movimento per le Autonomie, Forza Nuova, Liberal- Democratici – MAIE).
In un caso (che non riguarda la Rai), abbiamo anche inflitto una sanzione di 180.000 euro per il mancato rispetto dell’ordine impartito (Retequattro).
L’Autorità ha svolto il suo compito con impegno assiduo, sia per quanto riguarda le elezioni europee che per le successive tornate elettorali amministrative e referendarie. Rimane, comunque, -come dicevo- l’estrema difficoltà di effettuare valutazioni sul pluralismo dell’informazione in mancanza di regole quantitative e parametri predefiniti, che allo stato sussistono solo per i programmi di comunicazione politica. Problemi che vengono grandemente accresciuti dalla compresenza di un elevato numero di soggetti competitori e dalla proliferazione di trasmissioni che assomigliano alla comunicazione politica, ma appartengono all’area dell’informazione, per le quali ci viene quindi opposto dalle emittenti il legame inscindibile con l’attualità della cronaca e con l’autonomia editoriale delle testate giornalistiche.
Da qui l’esigenza, da me segnalata al Parlamento, di una riflessione su una riforma legislativa che tenga conto dei cambiamenti di scenario intervenuti e garantisca pluralismo ed equilibrio in un contesto moderno e diversificato.[1]
2. Il pluralismo quale tratto distintivo del servizio pubblico
La questione del pluralismo quale tratto distintivo del servizio pubblico radiotelevisivo è una questione che giustamente sta molto a cuore a questa Commissione. I principi del pluralismo dell’informazione, della libertà di espressione e della completezza ed equità dell’informazione costituiscono i cardini del servizio pubblico e dovrebbero essere il tratto distintivo dell’azienda incaricata del pubblico servizio radiotelevisivo.
Operiamo all’interno di un complesso quadro di regole normative e regolamentari: vi sono i principi generali della legge – completezza, obiettività, pluralismo, correttezza, imparzialità –; vi sono gli indirizzi sul pluralismo che codesta Commissione impartisce alla Rai; vi è il contratto di servizio – il cui articolo 3 espressamente dispone che “la Rai si impegna a garantire il rispetto delle regole del pluralismo”; vi è il Codice etico della Rai, il cui rispetto è espressamente richiamato dal contratto di servizio, che con particolare enfasi prevede che “Per RAI il pluralismo non è solo un dovere nei confronti della collettività, ma anche, e soprattutto, un metodo di lavoro, un elemento della sua identità di Servizio Pubblico”.
Su queste regole l’Autorità è chiamata a vigilare, sia per espressa previsione della sua legge istitutiva (legge 249 del 1997), che le affida il compito il verificare il rispetto degli indirizzi impartiti da codesta Commissione alla Rai, sia per le previsioni del Testo Unico della radiotelevisione che affida parimenti all’Agcom il compito di verificare che il servizio pubblico sia effettivamente prestato ai sensi delle disposizioni di legge e del contratto di servizio (art. 48).
Nella recentissima Comunicazione europea relativa all’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al servizio pubblico di radiodiffusione, che aggiorna la precedente comunicazione del 2001, la Commissione osserva che “il servizio pubblico di radiodiffusione, pur avendo un’evidente importanza economica, non è paragonabile a un servizio pubblico di qualunque settore economico. Non vi è un altro servizio che allo stesso tempo abbia accesso a un così ampio settore della popolazione, fornisca tante informazioni e contenuti e in tal modo raggiunga e influenzi i singoli individui e l’opinione pubblica…..Il servizio pubblico è percepito in generale come una fonte molto affidabile di informazioni e rappresenta, per una percentuale non irrilevante della popolazione, la principale fonte di informazione. Esso arricchisce quindi il pubblico dibattito e, in ultima analisi, può far sì che tutti i cittadini partecipino in qualche misura alla vita pubblica……..Questi valori del servizio pubblico di radiodiffusione conservano la loro importanza anche nel rapido evolversi del mondo dei nuovi media”.
Nella Comunicazione comunitaria si ribadisce che per poter beneficiare del contributo statale gli obblighi di pubblico servizio devono essere chiaramente definiti per garantire che le Autorità degli Stati membri ne possano effettivamente controllare l’adempimento.
Tale vigilanza deve essere svolta da un organismo esterno ed indipendente che possa imporre misure correttive adeguate quando sia necessario assicurare il rispetto degli obblighi di servizio pubblico.
Vi dico questo perché spesso, nei procedimenti che l’Autorità ha avviato nei confronti della Rai per il rispetto dei principi che governano l’informazione – e non mi riferisco solo ai periodi elettorali ed ai Tg – , ci siamo trovati di fronte alle controdeduzioni della Rai che si riteneva estranea alle contestazioni mosse o perché le trasmissioni interessate erano prodotte all’esterno o perché erano poste sotto la responsabilità del conduttore della trasmissione, il quale a sua volta rispondeva al direttore di rete o di testata.
Ci rendiamo conto che il tema della libertà di espressione, costituzionalmente garantita, è quanto mai complesso. Tuttavia , non dico limiti, ma regole e criteri più precisi e concreti andrebbero individuati. Serve un’informazione libera ed anche critica, ma mai faziosa, e c‘è il tema delle responsabilità editoriali che vanno meglio precisate, perché per l’Autorità chi risponde è la Rai, ch’è l’azienda concessionaria incaricata del pubblico servizio.
E per la Rai, proprio per tutto l’insieme delle regole che ho citato, il rispetto della regola del pluralismo informativo si impone con una pregnanza del tutto speciale, in quanto permea di sé anche i parametri deontologici del servizio pubblico.
L’Autorità ha da poco concluso un’istruttoria per l’inadempimento dei compiti di servizio pubblico, aperta su istanza dei rappresentanti del movimento radicale, che avevano denunciato la reiterata inosservanza delle disposizioni della legge, del contratto di servizio e del codice etico da parte della Rai, con una “lesione strutturale” del pluralismo nei loro confronti, dimostrata anche dalle numerose delibere che l’Autorità ha emanato su loro denuncia nei confronti dell’azienda pubblica.
Nell’istruttoria sono stati presi in considerazione non solo gli episodi denunciati dagli esponenti radicali, ma tutte le decisioni adottate dalla Commissione Servizi e Prodotti dell’Autorità (d’ufficio o su segnalazione), in materia di pluralismo informativo nell’arco di vigenza dell’attuale contratto di servizio 2007- 2009. Nel provvedimento adottato abbiamo diffidato la Rai ad assicurare, per il futuro, un effettivo rispetto dei principi del pluralismo informativo, come declinato dal contratto di servizio e dal Codice etico che essa stessa si è data. Nello stesso tempo abbiamo invitato l’azienda a predisporre, entro l’arco di vigenza dell’attuale contratto di servizio, idonei criteri per definire, sempre nel rispetto della libertà di espressione e dell’autonomia editoriale, le modalità di concreta attuazione di tali principi e le relative responsabilità aziendali. Tenendo presente il riparto di competenze che la legge assegna a codesta Commissione e all’Autorità, abbiamo previsto che la Rai trasmetta tali criteri ad entrambi gli Organismi.
In una materia così delicata come quella dell’informazione, il metodo dell’autodisciplina, che abbiamo sperimentato con successo in una vicenda analoga, quella della “mimesi del processo” in televisione, ci sembra un metodo conducente. La materia dei processi in tv -come sapete- ha formato oggetto di un atto di indirizzo dell’Autorità (delibera n. 13/08/CSP), cui abbiamo fatto seguire la via della moral suasion proponendo ai soggetti interessati di adottare un codice di autoregolamentazione basato sui principi del nostro atto di indirizzo.
Dopo 18 mesi di lavori intorno a un tavolo comune, al quale hanno partecipato gli esperti indicati dall’Agcom, il 21 maggio il codice è stato sottoscritto dalle emittenti televisive nazionali, dalle associazioni di categoria delle emittenti , dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa.
Il codice trova fondamento nei diritti garantiti dalla Costituzione, di libertà di pensiero da un lato e di rispetto dei diritti della persona dall’altro, riconoscendo la piena esplicazione del diritto di cronaca da parte degli operatori dell’informazione e, nello stesso tempo, l’inderogabile dovere di salvaguardare, nell’esercizio della funzione informativa, i diritti alla dignità, alla rispettabilità e alla riservatezza delle persone.
Come ho detto nella recente relazione al Parlamento, la “buona informazione” è quella che nasce dal rispetto della deontologia.
3. Digitale terrestre
Come sapete, il passaggio al digitale terrestre in Italia sta procedendo per successive aree geografiche secondo il calendario approvato dal Ministro dello sviluppo economico il 10 settembre 2008, con l’obiettivo di pervenire entro il 2012 alla digitalizzazione di tutto il territorio nazionale. Alla Sardegna , dove lo switch-off è stato già interamente completato, hanno fatto seguito gli switch-over (cioè lo spegnimento selettivo di Rai 2 e Rete 4) della Valle D’Aosta, del Trentino-Alto Adige, del Piemonte occidentale (Torino e Cuneo) e del Lazio (Roma e provincia) , per pervenire allo swicht-off di tali Regioni entro la fine del 2009, compresa la Campania. Nel 2010 seguiranno il Piemonte orientale e la Lombardia, l’Emilia Romagna, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Liguria. Il 2011 sarà l’anno delle Marche, dell’Abruzzo e Molise, della Basilicata e della Puglia, mentre nel 2012 il processo dovrebbe interessare la Toscana e l’Umbria (I semestre) e la Sicilia e Calabria (II semestre).
Il metodo a macchia di leopardo si sta dimostrando conducente allo scopo ed anzi -come ho detto- il processo potrebbe essere accelerato anticipando la data finale del novembre 2012, per abbreviare il divide delle ultime Regioni con il resto d’Italia e ridurre gli inevitabili costi della transizione. L’auspicio di un’anticipazione dello switch-off è stato espresso anche dalla Commissaria europea Reding.
Peraltro, come ho detto nella relazione al Parlamento della scorsa settimana, il passaggio al digitale deve essere accettato dagli utenti e non subìto e, a tal fine, è necessario che essi siano pienamente informati del processo in atto, perché l’avanzamento degli switch-off regionali produce un inevitabile impatto sui cittadini che dovranno dotarsi dei decoder e disintonizzare le apparecchiature.
In occasione del recente switch-over di Roma e del processo di ricanalizzazione della banda di frequenze III – VHF, che ha interessato gran parte del territorio nazionale, ho indirizzato una comunicazione al Presidente della Rai, sottolineando la necessità di un’apposita attività di informazione agli abbonati, affinchè i cittadini non rimangano sprovvisti del servizio pubblico radiotelevisivo nelle fasi di transizione che stiamo vivendo.
Il presidente Garimberti mi ha assicurato di aver pianificato una capillare e quotidiana campagna di comunicazioni su tutti i mezzi di informazione Rai , sia per quanto riguarda gli switch-over regionali sia per il processo di ricanalizzazione della banda III.
A proposito di quest’ultimo processo il presidente della Rai, con una nota dell’8 luglio scorso, mi ha fornito ulteriori ragguagli.
La ricanalizzazione della banda televisiva VHF, cioè dalla “storica” canalizzazione italiana a quella “europea” (secondo quanto previsto dal nuovo Piano di ripartizione delle frequenze adottato dal Ministro dello Sviluppo economico nel novembre 2008), ha comportato che la Rai (come gli altri operatori che utilizzano la banda III-VHF) procedesse entro il 30 giugno 2009 alla predisposizione tecnica degli impianti necessari a permettere la suddetta ricanalizzazione. Il processo di ricanalizzazione ha inciso in modo particolarmente significativo sulla Rai, principale utilizzatrice della banda di frequenze in questione[2].
I cambiamenti di frequenze si sono articolati su sette aree tecniche (individuate dal Ministero, relative a diverse Regioni italiane e a numerose aree metropolitane, in particolare quelle di Milano e Roma) a partire dal 22 giugno per finire il 30 giugno; le operazioni in ogni area sono state completate entro le prime ore della mattinata, limitando al minimo i tempi complessivi di ricanalizzazione per ogni zona interessata.
La Rai ha comunicato che, dall’analisi delle chiamate ricevute al Call Center, è emerso che il processo non ha generato un significativo disagio dal punto di vista dell’utenza, anche grazie alla larga diffusione di televisori in grado di sintonizzarsi automaticamente sul canale di trasmissione.
A questo proposito voglio evidenziare che l’Autorità , proprio in previsione della ricanalizzazione della banda III, e nell’ambito della competenza in materia di individuazione degli standard dei decodificatori, ha adottato un’apposita delibera (n. 155/09/CONS del 31 marzo 2009) con la quale ha stabilito che i decoder digitali terrestri, anche integrati in apparecchi televisivi, commercializzati dal 1° luglio 2009 dovevano associare obbligatoriamente al profilo “Italia” la canalizzazione europea. Quelli commercializzati prima di tale data dovevano essere aggiornati tramite software entro il 1° luglio.
Questo per consentire che già in fase di sintonizzazione automatica gli utenti ricevessero correttamente i segnali televisivi trasmessi con la nuova canalizzazione.
Inoltre, come Autorità, abbiamo coinvolto tutti i Corecom per mirate campagne di comunicazione a livello locale.
Complessivamente, in base ai dati che abbiamo a disposizione, la campagna di comunicazione dello swicht-over è stata considerata “abbastanza adeguata” con percentuali molto basse (intorno al 2-4% nel Piemonte e all’1% nel Lazio) di cittadini che non sapevano nulla di tale processo . Nel Lazio , dove il passaggio al digitale di Rai Due e Rete 4 è avvenuto il 16 giugno, la penetrazione complessiva del digitale (satellite, cavo e digitale terrestre) dopo lo switch-over è stata stimata nella percentuale dell’82,5% delle famiglie (prima era del 69,9%) e della sola tv digitale al 66,5% (prima era al 47,1%).
Il processo sembra camminare speditamente e, fino ad ora, senza aver suscitato grossi problemi. L’attenzione dell’Autorità al processo rimane comunque alta.
Nel frattempo l’Autorità ha proseguito nella sua azione di pianificazione della aree all digital e ha avviato una serie di interventi volti a ripristinare condizioni di concorrenza e pluralismo nelle gestione delle frequenze televisive .
Quando l’attuale Consiglio dell’Autorità è entrato in carica – nel 2005 -, la situazione frequenziale era alla deriva, a causa di trent’anni di mancanza di regolazione preventiva dello spettro frequenziale radiotelevisivo, una situazione che la Corte Costituzionale ha definito di occupazione di fatto delle frequenze, ratificata da concessione ex post ed avallata dal leggi che – prefigurando ma non preparando la transizione – hanno consolidato la transitorietà.
L’Autorità ha ripreso la barra della regolamentazione e del presidio sulle risorse frequenziali. Per fare chiarezza abbiamo proceduto nel 2006 e 2007, in collaborazione con l’allora Ministero delle comunicazioni, al censimento delle frequenze creando un catasto aggiornato. Poi abbiamo elaborato alcuni criteri sperimentali di pianificazione relativi alla Sardegna, prima Regione all digital, che già prevedevano un recupero frequenziale a favore di operatori nuovi entranti attraverso l’uso più efficiente delle frequenze (delibera 603 del 2007) .
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 101/2008, che ha modificato la previgente normativa sulla concessione dei diritti di uso delle frequenze e sulla digitalizzazione delle reti televisive, dopo l’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea (parere motivato del 18 luglio 2007), è stato stabilito, nel settembre 2008, il calendario del passaggio dal sistema analogico a quello digitale ( il decreto è stato approvato dal Ministro dello sviluppo economico d’intesa con l’Autorità). Questa è stata l’occasione per il riordino del settore.
Tale riordino è stato compiuto in sintonia con la Commissione europea, stante la pendenza della citata procedura d’infrazione. A seguito di una fitta interlocuzione con gli uffici della Commissione l’Autorità ha adottato una delibera sui criteri di completa digitalizzazione delle reti televisive terrestri (delibera n. 181/09/CONS del 7 aprile 2009), la quale è stata recepita dalla legge (legge comunitaria 2008 approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati il 23 giugno scorso), senza variazioni sul tema, come aveva chiesto la Commissione.
La delibera stabilisce che le 21 reti televisive nazionali in tecnica DVB-T che è possibile pianificare nel rispetto del coordinamento internazionale saranno così suddivise:
a) 8 reti saranno destinate alla conversione delle attuali reti analogiche, garantendo almeno un multiplex a ciascun operatore esistente;
b) 8 reti saranno dedicate alla conversione in singola frequenza delle attuali reti digitali esistenti (multiplex) che oggi utilizzano il meno efficiente sistema multifrequenza. Ciascun operatore avrà diritto alla conversione delle reti digitali attualmente operanti;
c) vi sarà un dividendo digitale nazionale di 5 reti DVB-T e di una eventuale rete DVB-H che verrà messo a gara con criteri e correttivi che garantiranno la massima apertura alla concorrenza e la valorizzazione di nuovi programmi.
In base a tali criteri Mediaset e Rai ridurranno le loro reti da 5 a 4 e Telecom scenderà da 4 a 3. Le altre emittenti manterranno le loro reti. Europa 7 ha già avuto la sua rete, che potrà mantenere in tecnica digitale .
Per l’emittenza locale, che costituisce un tratto peculiare del nostro Paese, è stato riservato almeno un terzo delle risorse disponibili, come prevede la legge.
Le misure asimmetriche previste riguardano la condivisione, da parte dei nuovi entranti, delle infrastrutture televisive degli incumbents a prezzi orientati ai costi per un periodo di almeno 5 anni dopo lo switch-off, sotto il controllo dell’Autorità, e la cessione del 40% della capacità trasmissiva a soggetti terzi indipendenti dagli incumbents nell’eventualità che questi si aggiudichino un quinto multiplex nella gara cui possono partecipare. Dei 5 multiplex DVB-T che verranno messi a gara tre sono disponibili solo per i nuovi entranti e per gli operatori televisivi “minori”, mentre per gli altri due possono concorrere anche gli operatori “maggiori”. Gli operatori che già dispongono di una rete DVB-H non potranno concorrere per il multiplex DVB-H messo a gara.
L’Autorità sta ora mettendo a punto gli atti attuativi della delibera , in particolare per quanto riguarda le procedure di gara, che saranno sottoposti alla Commissione europea.
In base al quadro normativo vigente spetterà poi al Ministero dello Sviluppo Economico lo svolgimento della procedura di selezione, che speriamo possa tenersi entro l’anno, per dare certezza al settore mentre avanza il percorso della digitalizzazione.
Il punto dove siamo giunti costituisce, data la situazione di partenza, una svolta storica, ma non rappresenta, nelle nostre intenzioni, il punto d’arrivo. Dovremo nei prossimi anni, anche in base agli sviluppi del dibattito europeo ch’è in corso, cercare di trovare ancora spazio per la creazione di un dividendo esterno che lasci risorse ad altri servizi di comunicazione innovativi.
Intanto, con la risistemazione delle frequenze televisive, oltre al dividendo interno per i nuovi soggetti, abbiamo creato spazio anche per la radio digitale (che utilizza le frequenze della banda III), per la quale finalmente si intravede uno sviluppo concreto.
4. Europa 7 (ricanalizzazione)
Nel frattempo, come accennavo, abbiamo dato risposta anche a vecchi capitoli ereditati dal passato: mi riferisco al caso di Europa 7.
Alla società Europa 7, in esecuzione del giudicato del Consiglio di Stato, è stato infatti assegnato un canale su scala nazionale, da utilizzare sia in tecnica analogica che in tecnica digitale, risultante dalla canalizzazione europea stabilita dal nuovo Piano di ripartizione delle frequenze approvato dal Ministero dello sviluppo economico il 13 novembre 2008. Dal 1° luglio, grazie alla ricanalizzazione di tale banda di frequenza (che – come ho detto prima – è stata portata a compimento il 30 giugno scorso), Europa 7 può trasmettere sul canale 8 su tutto il territorio nazionale. Tale canale si aggiunge al dividendo digitale di 5 frequenze DVB-T e di una rete DVB-H .
Grazie ai remedies assunti dall’Autorità a conclusione dell’analisi del mercato 18, Europa 7 può, inoltre, beneficiare, nella messa in esercizio della propria rete, della condivisione delle infrastrutture televisive delle società Rai ed RTI, con un rilevante vantaggio economico e pratico perché l’operatore non dovrà realizzare nuovi siti di trasmissione, ma potrà avvalersi di quelli già operanti a condizioni economiche eque, trasparenti e non discriminatorie, verificate dall’Autorità.
Altre questioni
Tivù
L’Autorità sta esaminando con attenzione il dossier che riguarda la costituzione della società Tivù, nata dalla jont-venture di Rai, Mediaset e Telecom Italia Media per lo svolgimento di attività legate alla diffusione di una piattaforma satellitare gratuita e allo sviluppo della piattaforma digitale terrestre.
L’intesa ci è stata notificata nell’autunno dello scorso anno, ma l’istruttoria da parte degli uffici dell’Autorità non si è ancora conclusa in quanto a tutt’oggi non risulta ancora inviato il contratto di fornitura di servizi tra Rai e Tivù, che la concessionaria pubblica si è riservata di trasmettere non appena sottoscritto.
L’operazione riguarda, potenzialmente, la competenza dell’Antitrust per quanto attiene alla materia della concorrenza, in base alla legge n. 287 del 1990, e profili che potrebbero riguardare le competenze dell’AGCOM in materia di tutela del pluralismo, in base al Testo unico della Radiotelevisione.
Inoltre, sotto diversa angolatura, l’Autorità sta valutando l’impatto dell’operazione per gli aspetti concernenti il rispetto del contratto di servizio da parte della Rai, stante la necessità della corretta fruizione dei canali di servizio pubblico da parte degli utenti sulle diverse piattaforme distributive.
Qualitel
Sulla qualità stiamo in attesa che la Rai dia seguito alle previsioni dell’attuale contratto di servizio, rendendo operativo il sistema di misurazione della qualità dell’offerta.
Abbiamo preso atto delle difficoltà legate alla sua implementazione, che la Rai ci ha illustrato il 6 febbraio scorso, segnalando anche di avere in corso una riflessione con la Commissione paritetica del contratto di servizio (formata da rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico e della Rai) , al fine di pervenire alla definizione di più efficaci modalità operative di applicazione e di sviluppo di tale sistema.
Tra le difficoltà che ci sono state segnalate vi è stata la sentenza della Corte di Cassazione n. 10443 del 23 aprile 2008, che ha dichiarato la Rai soggetta alle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, cosa che ha prodotto il rallentamento dei tempi necessari per l’attivazione della gara d’appalto per la fornitura del sistema. La Rai ha inoltre rappresentato l’alto costo di realizzazione del sistema, come prefigurato dall’articolo 3 del contratto di servizio, che risulta circa pari al quadruplo dell’attuale sistema di rilevazione IQS.
Tuttavia l’Autorità ha ritenuto che , nonostante le difficoltà segnalate, la messa in esercizio del nuovo sistema non potesse non intervenire nell’arco di vigenza dell’attuale contratto di servizio, ancorché in un tempo consono alla complessità e al carattere innovativo del progetto da realizzare. Pertanto sono stati assegnati alla Rai sei mesi , che scadranno a fine agosto, per dare attuazione al sistema di misurazione della qualità dell’offerta.
Con una recente comunicazione il Vice Ministro Paolo Romani mi ha informato dell’esito della riflessione compiuta in seno alla Commissione paritetica prevista dall’articolo 37 del contratto di servizio, evidenziando che tale Commissione ha preso atto della sostanziale inadeguatezza, in termini di rapporto tra potenziali risultati e risorse da investire, del sistema di rilevazione della qualità della programmazione e che, pertanto, le attività operative connesse all’indagine “Qualitel” dovrebbero essere rimodulate. Al tempo stesso, il Vice Ministro ha evidenziato come sia necessario ai sensi di legge e delle linee guida indicate dall’Autorità, che la Rai proceda con lo sviluppo di un nuovo sistema di indagine di rilevazione, monitoraggio e analisi della qualità della programmazione che sia comunque operativo nell’ambito temporale di vigenza dell’attuale contratto di servizio. Tale sistema alternativo – che ha un minor impatto di carattere economico ed è comunque coerente con l’impostazione prefigurata dall’articolo 3 del contratto di servizio – sarà sottoposto al Comitato tecnico scientifico previsto dallo stesso contratto di servizio, per quanto attiene all’adeguatezza dei criteri da utilizzare.
Noi comprendiamo tutto e teniamo conto di tutto. Ma una cosa è certa: il discorso sulla qualità è irrinunciabile. Un servizio pubblico che non valorizzi la qualità viene meno alla sua funzione.
Ricordo, in proposito, che in Inghilterra, nell’ambito del progetto Digital Britain, è stata lanciata una consultazione pubblica sulla costituzione di un fondo destinato a migliorare la qualità dell’informazione televisiva.
Vedremo nei prossimi giorni questo progetto alternativo ch’è stato preannunciato, ferma la necessità che la Rai vi provveda entro la scadenza del termine assegnato dall’Autorità.
Investire parte delle risorse derivanti dal canone per il miglioramento della qualità dell’informazione televisiva è altresì uno degli obiettivi prioritari delle linee guida che l’Autorità emanerà per il prossimo contratto di servizio ch’è ormai alle porte.
Quello che si profila sarà un contratto di servizio strategico, perché a cavallo del periodo finale della transizione al digitale (2010-2012). Sarà dunque essenziale che la definizione del nuovo mandato di servizio pubblico rifletta lo sviluppo e la diversificazione dell’era digitale, continuando a mantenere le caratteristiche di servizio universale ed estendendo il più possibile alla popolazione i vantaggi dei nuovi servizi audiovisivi e d’informazione, in termini di possibilità di scelta tra vari generi, all’interno di una programmazione complessivamente variegata e rivolta a tutti i segmenti della società, e di qualità sia dei contenuti che delle tecnologie di visione.
La forte propensione degli utenti verso la televisione a pagamento, per le plurime possibilità di scelta che questa offre, è un’indicazione di tendenza della quale le televisioni generaliste, e in primis il servizio pubblico, non possono non tener conto.
Corrado Calabrò
——————————————————————————–
[1] Relazione annuale al Parlamento 2008 (pag. 4) e Relazione annuale al Parlamento 2009 (pag. 4)
[2] Per attuare la conversione della canalizzazione sono stati coinvolti, tra trasmettitori principali e ripetitori, 473 impianti. Gli interventi hanno interessato una popolazione complessiva di circa 14 milioni di abitanti distribuiti su 1597 comuni italiani.