A breve saranno diffusi i nuovi dati TER (intero anno e secondo semestre 2019), l’indagine sull’ascolto radiofonico curata dal Tavolo Editori Radio, una società di capitali (s.r.l.) controllata dagli stessi editori che si sottopongono alla rilevazione.
Conflitto d’interesse fisiologico
Un conflitto d’interessi genetico calmierato solo dal fatto che ogni editore non ha interesse a far crescere il concorrente (se non cresce lui stesso). In altri termini, tutti d’accordo sull’incremento in assoluto del volume d’ascolto. Motivi d’attrito sono invece le singole crescite e decrescite ed in generale la ripartizione
Dissenzienti
Per ora (agli editori) va bene così. Ma all’interno del TER cominciano ad esserci voci dissidenti. Come quella (peraltro non solitaria) di Roberto Sergio, direttore di Radio RAI, uno dei gruppi più penalizzati dal modello di rilevazione. L’indagine TER si fonda, infatti, sulle arcaiche interviste telefoniche (CATI): uno schema vergognosamente datato e che certamente non fa onore ad un mezzo che fin qui ha dimostrato di cavalcare ogni nuova tecnologia disponibile.
Così non va
RAI, invece, in ogni altra indagine basata su strumenti digitali (per loro natura oggettivi e scevri da effetti di notorietà del brand e di scherzi della memoria), dimostra di performare enormemente meglio di quanto emerge dal TER.
Ben si capisce quindi perché Sergio spinga su una completa ristrutturazione del TER, portandolo nella direzione dei rilievi digitali in tempo reale.
Facile a dirsi
Certo, una soluzione non semplice da attuare. E soprattutto costosa, perché presuppone l’adozione di meter per il calcolo della fruizione attraverso piattaforme di diffusione via etere (FM, DAB+, DTT) che non hanno in sé il gene per la mappatura degli ascolti (come invece l’IP, il cui dato è rilevabile senza alcun problema e costo).
Così, gli altri soci del TER, pur condividendo (pressoché completamente – pur senza dichiararlo) le tesi di Sergio, spostano in là le decisioni. In attesa che la massa critica dei dati IP possa essere oggetto di diffusione sul mercato.
5 anni
Il problema è che l’FM, pur lasciando progressivamente spazio agli altri vettori digitali, rimarrà il carrier radiofonico prevalente per minimo 5 anni (e massimo 10).
Ergo, mettiamoci nell’ordine delle idee che prima di un lustro, sarà improbabile un sostanziale cambiamento delle politiche del TER.