Televisioni coi piedi per terra e la testa tra le nuvole

Rete 4 sarà mai diffusa esclusivamente sul satellite abbandonando le frequenze terrestri ? Analizziamo perché, secondo noi, ciò non avverrà.

L’attività di Berlusconi nell’etere con l’emittente Rete 4 incomincia nell’ottobre del 1984, quando il suo gruppo rileva la stazione (attiva dal 1981) dalla Mondadori (che, al tempo, naturalmente, non rientra ancora nella galassia del Cavaliere). Le Tv del Biscione, in quella fase, sono giuridicamente a diffusione locale, ma fattualmente attive su praticamente tutto il territorio nazionale. Berlusconi, infatti, già da anni ha escogitato uno stratagemma giuridicamente inattaccabile (almeno così lui pensa): mandare in onda simultaneamente in tutta Italia videocassette di identici programmi preconfenzionati (di norma il giorno prima, ma in caso eccezionali anche poche ore prima dell’effettiva messa in onda). E’ il sistema della interconnessione funzionale, cioè della diretta simulata, che si contrappone all’interconnessione strutturale, cioè della diretta effettiva, attuata mediante ponti radio. Questo sistema, però, costituisce, secondo una scuola di pensiero, una violazione della L. 103/1975, che consente solo alla RAI (cioè la pubblica concessionaria) di trasmettere a livello nazionale. Del medesimo avviso sono i pretori di Pescara e Roma (seguiranno Torino e Genova), che oscurano le tv del Cavaliere nei rispettivi ambiti regionali. Tuttavia, dopo i primi interventi repressivi su area locale (la diffusione nazionale viene frammentata, giungendo alla paradosale situazione genovese di un magistrato che impone alle reti Fininvest un ritardo nella trasmissione ligure di un giorno rispetto all’emissione lombarda), sarà lo stesso Berlusconi, con un magistrale coupe de theatre, a togliere la spina al fine di adeguarsi ai precetti della magistratura. Un’abile mossa tesa a stimolare l’opinione pubblica, privandola di Dallas ed altri programmi di grande appeal e così incidendo a livello politico. Il Governo, in quel periodo, è affidato alla presidenza Craxi, che spinto da una vera e propria sommossa popolare (“agli italiani non toccate calcio e tv”, si dirà), approva una serie di decreti legge che permettono alle reti del Biscione di continuare a trasmettere “provvisoriamente” a livello nazionale (sull’argomento, per un approfondimento storico e giuridico, cfr. qui). Quantomeno fino alla L. 223/1990 (“legge Mammì”), che legittimerà lo stato di fatto esistente (si dirà: "fotografando la realtà"), limitando tuttavia la temporaneità a tre anni, in attesa dell’attuazione di un piano nazionale di assegnazione delle frequenze (P.N.A.F.). I tre anni, nel frattempo, diventano sei, grazie al decreto legge n. 323/1993 (convertito nella legge 422/1993), che protrae la validità delle concessioni fino all’agosto 1996. Nella legge 223/1990, tuttavia, c’è qualcosa che non pare pienamente legittimo sotto il profilo costituzionale. L’art. 15 consente infatti ad un solo soggetto di detenere fino a tre reti televisive nazionali. Troppe, secondo la Consulta, che con sentenza n. 420/1994 lo dichiara illegittimo per contrasto con l’art. 21 Cost., perché “il diritto alla informazione implica il pluralismo delle fonti e comporta il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l’accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse” (sull’argomento, cfr. qui per approfondimento).In sostanza, Berlusconi dovrebbe cedere Rete 4, il cui acquisto avrebbe permesso il costituirsi di una posizione dominante. La Corte lascia comunque salvo il termine (agosto 1996) previsto dal decreto legge 323/1993, ma impone al legislatore di emanare al più presto una legge organica che riduca “il limite numerico delle reti concedibili ad uno stesso soggetto”. Sarà poi la L. 249/1997 (istitutiva, peraltro, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) ad impedire ad un singolo soggetto di detenere più del 20% delle reti televisive nazionali (art. 2, comma 6). Limite che comporterebbe l’obbligo di alienazione di Rete 4, ma pure che le emittenti possedute oltre quel 20 per cento possano continuare “in via transitoria” a trasmettere fino al termine (da stabilirsi da parte dell’Agcom) a partire dal quale le emittenti “eccedenti” dovranno trasmettere “esclusivamente via satellite o via cavo” (art. 2, comma 7). La Corte Costituzionale, con sentenza n. 466/2002, dichiara incostituzionale tale norma, fissando nel contempo il 31 dicembre 2003 quale termine inderogabile a partire dal quale le emittenti eccedenti i nuovi limiti antitrust del 20 per cento (ossia Rete 4) dovranno migrare sul satellite, mentre Rai 3 dovrà dire addio agli introiti pubblicitari. In quel periodo si discuterà molto della famosa "soglia di congruità" del numero di parabole installate sul tetto delle case, al fine di contemperare le esigenze delle tv obbligate alla migrazione satellitare. Tempo dopo la L. 112/2004 (“legge Gasparri”) crea l’ennesimo regime transitorio, confermando il tetto antitrust del 20 per cento, rendendolo tuttavia vigente soltanto “all’atto della completa attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale” (art. 15, comma 1°). Fino ad allora, chi ha trasmesso in analogico potrà continuare a farlo. In breve, Rete 4 e Rai 3 rimangono come sono, coi piedi per terra la prima e con i cluster pubblicitari in onda la seconda. E così sarà per un bel po’, perché il termine per la cessazione delle trasmissioni in via analogica (e l’inizio di quelle in via digitale), inizialmente fissato al 31 dicembre 2006, ufficialmente a causa della scarsa diffusione del digitale viene rinviato dapprima al 31 dicembre 2008, poi al 31 dicembre 2012. Sulla vicenda interviene anche la Corte di Giustizia, che, come noto, ha l’ultima parola sulla conformità del diritto nazionale a quello comunitario. Nel merito, la C.G.E. ha istruito una procedura d’infrazione contro l’Italia a riguardo di alcuni precetti delle LL. 66/2001 (governo di Centro-Sinistra) e 112/2004 (governo di Centro-Destra) che sbarrerebbero l’accesso al digitale ai soggetti non titolari di impianti analogici. Il governo, per pararsi dalle sanzioni UE, ha quindi la necessità di adeguare l’ordinamento interno ai precetti comunitari. A riguardo, archiviato il fallimentare progetto di riforma Gentiloni, il governo tenterà la strada del decrreto di adeguamento alle decisioni di UE di cui diremo di seguito. Il nostrano Consiglio di Stato, nel frattempo adito dall’emittente fantasma Europa 7, soccombente avanti al TAR Lazio, avanti al quale aveva presentato ricorso per ottenere il risarcimento del danno asseritamente patito a seguito della mancata assegnazione delle frequenze a cui avrebbe avuto diritto dopo l’ottenimento della concessione del 1999 (e che il patron Di Stefano ritiene siano proprio quelle di Rete 4), potrebbe a sua volta censurare anche le norme contrarie al diritto comunitario (da ultime quelle contenute nella legge Gasparri e nel D.Lvo 177/2005, cioè il testo unico della rtv che ha accorpato la pluralità di disposizioni comuni alla materia) che hanno consentito la prosecuzione dell’occupazione delle frequenze terrestri da parte di Rete 4. Il Governo (attuale), nel frattempo, prende, come anticipavamo poche righe fa, le opportune contromisure e decide che il decreto legge 8 aprile 2008 n. 59, emanato dal governo Prodi per adeguare l’Italia ad alcune decisioni della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in materia di commissioni tributarie, corpi idrici, guardie giurate e pesca marittima, sia aggiornato con l’inserimento dell’art. 8 bis che, nel proclamare la necessità di uniformare “la disciplina per l’attività di operatore di rete su frequenze terrestri in tecnica digitale” ai principi comunitari, fra le varie cose stabilisce che “fermo restando quanto stabilito dalla vigente normativa in materia di radiodiffusione televisiva […] la prosecuzione nell’esercizio degli impianti di trasmissione è consentita a tutti i soggetti che ne hanno titolo, fino alla scadenza del termine previsto dalla legge per la conversione definitiva delle trasmissioni televisive in tecnica digitale”. Cioè fino al 2012 (termine che potrebbe ancora slittare). Quindi, secondo una certa lettura, reiterando la previsione specificia della L. 112/04, già censurata dalla Corte di Giustizia perché contraria al diritto comunitario. Così la vicenda di Rete 4 nei mesi a seguire sarà destinata ad accendere feroci polemiche. Infatti, dati i rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale, il Consiglio di Stato potrebbe non tenere conto del richiamato provvedimento normativo, qualora esso contemplasse un precetto palesemente contrario all’ordinamento sovranazionale. Qui non siamo nell’ipotesi della norma anticostituzionale, dove cioè il giudice deve necessariamente attendere un intervento della Corte Costituzionale che la dichiari illegittima: per giurisprudenza costante, sia nazionale che comunitaria, l’A.G. può disapplicare un provvedimento nazionale proprio perché contrario al diritto comunitario. Con la conseguenza che il Ministero dello Sviluppo Economico – Comunicazioni potrebbe revocare l’autorizzazione all’occupazione delle frequenze a Rete 4. Ma, attenzione, non necessariamente assegnare dette risorse ad Europa 7, cioè ad uno solo dei tanti potenziali nuovi player televisivi. Anzi, sarebbe, a nostro avviso, una grave disparità di trattamento se ciò avvenisse in difetto dell’adozione di una nuova procedura di assegnazione cui dovrebbero partecipare tutti i titolari di concessione non esercenti impianti in tecnica analogica oppure esercenti diffusori in un numero non sufficiente ad illuminare il territorio assentito in concessione (e, infatti, qualora Europa 7 fosse destinataria di un provvedimento di assegnazione di frequenze è certo che s’incardineranno avanti al TAR Lazio centinaia di ricorsi fondati proprio sul vizio di legittimità per eccesso di potere conclamantesi nella figura sintomatica della disparità di trattamento). Del resto, e chissà perché non se ne parla, una soluzione in grado di conciliare le contrapposte esigenze, non tanto di Mediaset (verso la quale, comunque, il governo ci guadagnerebbe in immagine, facendo un passo indietro, riformulando in una maniera meno irritante il citato art. 8 bis) quanto dei telespettatori di Rete 4 in tecnica analogica (si tratta pur sempre di milioni di persone) ed Europa 7 – sempre ammesso che quella di Di Stefano sia di effettuare mera attività editoriale, cioè di content provider e non già di operatore di rete – potrebbe consistere nell’obbligo posto in capo a Mediaset di ospitare l’emittente fantasma in uno dei mux digitali. Infatti, mentre nel caso di Rete 4 si tratterebbe di rimuovere di forza dai telecomandi dei televisori esclusivamente analogici tale emittente, in quello di Europa 7, trattandosi di una start-up, probabilmente attraverso l’allocazione in un mux presintonizzato essa conseguirebbe immediatamente più visibilità di quella derivante da un’attivazione ex novo, che dovrebbe essere assimilata dagli utenti (processo che in tv è noto essere molto lungo). Comunque andrà, una cosa è certa: Rete 4 non abbandonerà la crosta terrestre per un futuro esclusivamente satellitare, strumento diffusivo che, peraltro, va detto, già da anni impiega. Alla peggio, infatti, i suoi programmi saranno accessibili sulla piattaforma digitale terrestre, che rimarrà assolutamente intoccata da eventuali provvedimenti giudiziali inibitori. Un’ultima considerazione: perché Di Stefano, al di là delle battaglie per la difesa del suo preteso diritto leso, non ha negoziato come tutti gli altri la domiciliazione di Europa 7 presso qualche operatore di rete, iniziando così concretamente quell’operatività per la quale ha sempre dichiarato di essere attrezzato per un immediato sbarco dell’etere con programmi di forte appeal? (M.P. per NL)

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