Una decisione dell’Authority mette a rischio migliaia di posti di lavoro.
Prima del 2005, anno del famoso censimento con il quale gli italiani furono chiamati ad esprime il loro assenso o dissenso sull’utilizzazione dei propri dati telefonici, il panorama italiano era un far west. Successivamente, solo 750 mila cittadini espressero la volontà di essere contattati dai call center per la promozione delle offerte commerciali. Il problema fu che una lista di 15 milioni di utenti, raccolta, diciamo, in modo non proprio limpido, venne venduta dal gruppo Seat Pg ad alcune associazioni di telemarketing e così si diffuse a macchia d’olio. Tra 750 mila e 15 milioni c’è una bella differenza: la stessa che la decisione dell’Authority vuole sottolineare con lo scopo di tutelare chi non ha proprio nessuna intenzione di essere disturbato. Come ogni situazione, anche questa presenta il suo rovescio della medaglia: la tranquillità di molti a spese di 30 mila posti di lavoro. Sono queste, infatti, le cifre stimate dalle associazioni di categoria per quel che attiene il numero dei lavoratori delle molte società che sfruttano i cd. canali di outsourcing, sui quali molte aziende fanno affidamento per la promozione delle offerte commerciali (si conta un decremento del 25% in termini di capacità di alcune aziende di entrare nel mercato, ad esempio, della banda larga). Possibili soluzioni? Ad esempio adottare il modello britannico o americano che prevede l’istituzione di apposite black list all’interno delle quali gli utenti possono iscriversi, gratuitamente, ed ottenere silenzio assicurato. Al momento solo alcune aziende, Vodaphone in primis, hanno un prorio codice di condotta che le impegna a non contattare i propri clienti più di 4 volte l’anno. (M.P. per NL)