Mentre la (tardiva) attenzione del governo e dei media italiani si concentra sull’operazione Telefonica-Telecom, con annessi tentativi di chiudere la stalla a buoi scappati, nel resto del mondo continuano a manifestarsi i segni di un tumultuoso processo di concentramento del mercato delle telecomunicazioni.
L’Europa, dopo aver perso il primato dell’innovazione tecnologica con i suoi ritardi nell’adozione dei nuovi standard, LTE in primis, ora rischia di diventare terra di conquista per le big telco statunitensi (e non solo). Lo scenario però è in continua evoluzione: è in corso una complessa partita a scacchi, dove gli equilibri futuri vengono continuamente ridisegnati all’interno della strategia di gioco dei diversi contendenti. Così, subito dopo le voci di un accordo tra AT&T e America Movil (la compagnia del miliardario messicano Carlos Slim che opera in tutto il centro e sud America) per “spartirsi” il mercato europeo, la mossa italiana di Telefonica, con possibili conseguenze sugli equilibri delle tlc mobili sudamericane, ha imposto una pausa di riflessione nei piani di sviluppo del gigante latino (che comunque ha già importanti partecipazioni in compagnie europee come Telekom Austria e KPN). AT&T, invece, continua a lanciare segnali di interesse nei confronti dell’Europa. I motivi probabilmente sono legati, come suggeriscono alcuni analisti, alle ridotte possibilità di muoversi in un mercato USA già abbastanza consolidato; almeno secondo le autorità regolatorie di quel paese, che nel 2011 hanno bloccato la tentata acquisizione di T-Mobile USA da parte della stessa AT&T, che avrebbe portato quest’ultima a diventare di gran lunga il maggior operatore mobile degli States. La crisi ha fatto inoltre scendere il valore delle compagne europee, rendendole appetibili per acquisizioni e fusioni. Lo sbarco oltreoceano però presenta molti rischi, che alcuni analisti non hanno mancato di evidenziare: elevati livelli di concorrenza e una regolamentazione complessa e frammentata rappresentano i principali ostacoli da superare. Fattori del resto ben noti a Randall Stephenson, CEO di AT&T, che nelle sue recenti dichiarazioni ha di fatto invitato le autorità europee a modificare il quadro regolatorio, al fine di attirare e favorire gli investimenti di chi potrebbe essere interessato a innovare le reti del vecchio continente. L’appello sembra trovare un’autorevole sponda nei recenti tentativi di riforma portati avanti dalla Commissaria per l’Agenda digitale europea, Neelie Kroes, con il dichiarato obiettivo di dare vita ad un mercato unico europeo delle telecomunicazioni. Obiettivo che però pare non essere molto condiviso, né dalle telco europee né – soprattutto – dai governi nazionali, le cui istanze rimangono comunque imprescindibili nell’attuale, debole impianto istituzionale dell’UE. Sintomatico del resto il fatto che, nel pacchetto di riforma del settore di recente presentato dalla Kroes, sia stato ampiamente derubricato tutto il capitolo della gestione delle frequenze, vero punto dolente delle politiche tlc europee e principale causa della perdita di competitività del vecchio continente nei confronti dei competitor USA. Infatti proprio la Long Term Evolution, ovvero la nuova generazione della telefonia mobile, è stata la vera chiave di volta tecnologica della ripresa delle telco statunitensi, ed è il settore wireless quello a cui si riferisce Stephenson quando parla di semplificazione e flessibilità delle regole. Nel dettaglio, la ricetta prevederebbe licenze paneuropee, con durata ben superiore a quella media attuale (30 anni contro 10-12), possibilità di scambiarsi porzioni di spettro e di utilizzare qualsiasi tecnologia indipendentemente dalle gamme di frequenza. Una rivoluzione copernicana che appare allo stato attuale assai improbabile, soprattutto considerato che finora gli stati membri dell’Unione hanno ampiamente puntato sulla gestione autonoma delle risorse spettrali (che, giova ricordarlo, sono un bene pubblico) per ottenere ritorni sia sul piano economico che politico. Una leva che difficilmente i governi saranno disposti a cedere alla sovradeterminazione di istituzioni europee perennemente in crisi e messe in discussione da spinte neo-nazionaliste. L’impressione è che una decisione verrà presa solo quando AT&T avrà trovato un non facile equilibrio tra le perplessità degli azionisti e l’ottimismo del management. Vedremo quindi se si avvereranno le azzardate previsioni che parlano dell’acquisizione di un big player (Vodafone), se sarà scelto un profilo più basso, magari con EE (la joint venture mobile di Deutsche Telekom e Orange) o se infine si abbandonerà l’ipotesi di investire sulle reti per concentrarsi sui servizi ad alto contenuto tecnologico. Nel frattempo i venti d’oltreoceano stanno comunque già influenzando le strategie delle telco europee, che si preparano a sfruttare nel migliore dei modi l’afflusso dei nuovi capitali e a riposizionarsi sulla scacchiera del mercato. Con o senza il supporto di una politica che, quando non è colpevolmente indifferente, arriva quasi sempre in ritardo. (E.D. per NL)