Una sorta di “nocciolo duro” che garantisca l’italianità di Telecom e della rete telefonica. Paolo Gentiloni, ministro delle Comunicazioni, 56 anni, chiama in causa “forze di mercato nazionali, banche e imprese”, e apre uno spiraglio anche per un ingresso di minoranza di Mediaset se il gruppo di Berlusconi decidesse di farsi avanti.
Nessuna interferenza diretta della politica, è la linea, ma solo “indicazioni” alle forze economiche e finanziarie del sistema italiano su quello che è un interesse nazionale: “Il mercato trovi al suo interno le energie per assicurare un futuro di sviluppo a Telecom Italia”. E dia certezze su cui non si potrà cedere: “Investimenti necessari sulla rete di nuova generazione in fibra ottica, assetto unitario dell’azienda, sviluppo della presenza internazionale in aree strategiche come l’Europa e l’ America Latina”.
Da qui, dice Gentiloni, dovrà partire l’auspicata alternativa italiana alla proposta di At&t-America Movil. Spetta al mercato, ripete il ministro delle Comunicazioni, dare queste certezze, e in questo scenario non verrebbero posti paletti a un eventuale interessamento di Mediaset con una quota che non sia di controllo.
“Il controllo di Telecom Italia da parte di Mediaset, e viceversa, è vietato dalla legge 112 del 2004 (legge Gasparri, ndr), legge che io tra l’altro non ho votato. Escluso questo scenario –aggiunge il ministro- credo che tutto ciò che spinge un gruppo industriale come Mediaset verso la diversificazione e verso nuovi investimenti nel settore delle comunicazioni sia positivo per lo sviluppo dell’azienda e del Paese. Del resto anche per Mediaset è scoccata l’ora della convergenza e della diversificazione rispetto al settore televisivo, come dimostra la partnership avviata proprio con Tim per lo sviluppo della tv mobile”.
Di certo l’offerta dell’ americana At&t e della messicana America Movil ha alzato l’asticella verso l’alto, rendendo sempre più difficile un intervento coordinato dalle banche. Gentiloni non fa previsioni: “L’ultima parola su questa vicenda è degli azionisti e ripeto che non vogliamo intervenire né interferire. Ma è anche vero che una posizione indifferente sul destino della più grande impresa italiana sarebbe inconcepibile. Finiremmo per pentircene. Mi limito -dice il ministro- a sottolineare delle esigenze: in tutti i grandi Paesi occidentali la rete è controllata da soggetti pubblici o privati nazionali. E’ l’asset che mette in comunicazione 25 milioni di case, buona parte delle imprese e della Pubblica amministrazione”.
Un asset strategico il cui destino, almeno per le regole di accesso per i concorrenti, è anche nelle mani dell’Authority per le comunicazioni. Restano in pista due strade: semplice divisione funzionale (rete separata dal resto del gruppo Telecom ma senza cambiamenti azionari) o scorporo societario, magari con l’apertura ad azionisti di estrazione pubblica che salvaguardino almeno l’italianità del network. Un dibattito, tiene a precisare Gentiloni, che però non va assolutamente intrecciato con quello sul controllo di Telecom.
“Non vorrei che in Italia si tornasse a parlare di scorporo come strumento per risolvere il problema del controllo societario. Invece che, come dovrebbe essere, per assicurare equivalenza di accesso alla rete. La separazione cui lavora l’Autorità insieme ai vertici di Telecom Italia è un provvedimento di tipo regolamentare, che tra l’altro ha tempi molto più lunghi. Le questioni vanno tenute su piani separati”.