Lo scorso giugno il gigante delle telecomunicazioni statunitense Verizon ha perfezionato l’operazione di acquisto di Yahoo, annettendola ad Aol, società attiva nel settore mass media già rilevata nel 2015: la fusione ha dato vita a Oath, società house brand che opera come editore di contenuti e come advertising company, sfruttando la popolarità dei marchi che ha incorporato (Yahoo, Aol, Huffington Post, ecc.) Oath ha mire espansionistiche per il proprio business: il general manager Christina Lundari (in foto) ha dichiarato che l’obiettivo per il 2020 è quello di crescere da 1,2 miliardi a 2 miliardi di utenti e raggiungere un fatturato compreso tra i 10 e i 20 milioni di dollari. Per farlo, i vertici della società puntano soprattutto all’estero e, in Europa, prestano particolare attenzione all’Italia. Qui la situazione di Oath è peculiare: nel Bel Paese, infatti, la vendita pubblicitaria non è gestita direttamente, ma affidata alle concessionarie Manzioni per Huffington Post e Mediamond (già concessionaria di Mediaset e Mondadori) per Yahoo. La stessa gestione della versione italiana dell’Huffington Post passa per una join venture con Gedi (gruppo editoriale nato dalla fusione Espresso-Itedi). Questo quadro rallenta un po’ gli statunitensi, obbligati a rispettare i contratti esistenti, ma Lundari è cristallina nell’indicare la gestione diretta delle properties come obiettivo strategico di Oath Italy. Nel frattempo, sul comparto italiano sono attivi diversi accordi e iniziative: da un lato, Aol ha implementato una piattaforma che permette ai broadcaster vedere ad editori terzi i propri video, monetizzando attraverso la pubblicità; dall’altro lato Oath ha un accordo di raccolta in esclusiva con la piattaforma di music video Vevo. Anche la controllante Verizon sembra avere grossi interessi nella penisola: se oltreoceano la telco può offrire un servizio di pubblicità iper-profilata grazie alla possibilità di combinare i dati derivanti dal settore digital, con quelli certificati dei propri clienti della telefonia mobile, in Italia non possiede quest’ultimo tipo di dati e, per impossessarsene, propone l’acquisto alle telco nostrane. “Tutto ovviamente nel rispetto delle normative – rassicura Lundari – si tratta di dati degli utenti che riguardano il sesso, l’età, il luogo in cui si trovano, le app che usano, ma per il resto totalmente anonimi”. Una rassicurazione forse non troppo efficace, considerato che, anche non ricollegando il dato ad un nome o a un volto, Verizon sarebbe in grado di conoscere praticamente ogni aspetto della vita degli utenti. (V.D. per NL)