Se già molta carta ci avevano fatto risparmiare gli hard disk esterni, la workstation del futuro potrebbe essere un qualsiasi computer o tablet che sia configurato in modalità cloud computing.
Letteralmente “nuvola informatica”, l’innovativo sistema di immagazzinamento di file su piattaforme telematiche offerte da provider di servizi internet, consente di memorizzare, archiviare e/o elaborare dati (tramite CPU o software) grazie all’utilizzo di risorse hardware/software distribuite e virtualizzate in Rete. Questa è la definizione fornita da Wikipedia, calzata a pennello dal nuovo sistema Google Drive (“conserva tutto e condividi ciò che vuoi”, il claim del servizio) che si ripromette di offrire un pacchetto base gratuito costituito da un plafond di 5 Giga bytes di memoria in un server accedibile on line attraverso i comuni browser, senza necessità di installare sul proprio computer programmi particolari. In questo spazio virtuale sarà possibile per l’utente immagazzinare foto, video ed elaborati informatici di vario genere che verranno automaticamente indicizzati per la futura ricerca, per la quale si potranno utilizzare software remoti messi a disposizione dal provider. Se per i clienti start l’utilizzo del cloud computing è gratuita, per i più esigenti gli spazi messi a disposizione da Google Drive potranno sfiorare ragguardevoli volumi, con un contributo mensile di circa 2 euro (cfr. drive.google.com) per 25 Giga bytes e via via crescendo a seconda dello spazio riservato. Il progetto della multinazionale di Mountain View è stato presentato lo scorso 24 aprile, ma i commentatori sono già schierati su due fronti contrapposti: se queste tecnologie – che già oggi vengono proposte da molti altri provider come Microsoft ed Apple – sono viste da alcuni analisti come una maggiore evoluzione tecnologica offerta dalla rete, altri le considerano una trappola di marketing. Infatti, è proprio la necessaria elaborazione dei dati immagazzinati dagli utenti da parte dei cervelloni informatici del cloud provider che, nonostante si mantenga la possibilità di non condividerli con terzi, consentono di individuare – ad esempio per mirate finalità promozionali – gusti e preferenze dell’autore. Parlando di Google Drive, è bene chiarirlo fin da subito, la privacy risulterebbe garantita dai termini del servizio e più in generale dalle regole sulla riservatezza ultimamente riviste ed uniformate per tutte le applicazioni offerte dal provider. Ciò nonostante, qualche clausola del servizio fa riflettere – come evidenzia Italia Oggi, 26/04/2012, p. 19 – laddove nel contratto che si perfeziona tra l’utente e l’azienda, i contenuti immagazzinati on line sono concessi con licenza mondiale a Google, che pertanto avrà facoltà di elaborarli (utilizzo, archiviazione, riproduzione, distribuzione, per citare talune attività previste dal contratto) con precipue finalità promozionali e di miglioramento del servizio offerto. Appare evidente la necessità di valutare in maniera ponderata le regole di questo nuovo sistema di archiviazione prima di accedervi, anche con lo scopo di effettuare una prima scrematura dei dati che si archivieranno in cloud computing; altrettanto scontato, però, è che le facoltà concesse al provider risultano – per buona parte – indispensabili per lo svolgimento e lo sviluppo del servizio offerto e per tutelarsi da eventuali future recriminazioni dell’autore dei dati immagazzinati. Sul punto, un portavoce di Google precisa che tali termini contrattuali consentono di fornire il servizio richiesto e la possibilità di accedere ai file conservati con svariati dispositivi (Italia Oggi, 26/04/2012, p. 19). Insomma, fruendo delle nuove tecnologie messe a disposizione in rete e con le più svariate finalità, occorre definire il giusto compromesso tra riservatezza e gratuità o basso costo delle applicazioni offerte. (S.C. per NL)