dalla newsletter di European Law
di Alessandra Delli Ponti
Articolo pubblicato sulla rivista telematica Sapere & Consumare, Bimestrale del consumo consapevole, numero 1/2007, http://www.sapereeconsumare.net/
Internet, e-mail, palmari, cellulare, ma anche centralini telefonici super computerizzati, sistemi di localizzazione satellitare, etc. spesso costituiscono importanti strumenti di lavoro a disposizione del dipendente; con questi il datore di lavoro può facilmente “sorvegliare” l’attività di chi li utilizza.
Resta il fatto che, anche se lo sviluppo tecnologico consente certe forme di sorveglianza non significa che il loro uso sia lecito alla stregua dei principi normativi.
Dal punto di vista giuridico a confronto ci sono due importanti diritti.
Da una parte il diritto del datore di lavoro di esercitare un certo potere di controllo, nel senso che è legittimato a verificare il corretto andamento dell’organizzazione produttiva e, quindi anche lo svolgimento dell’attività lavorativa. Tale legittimo potere di controllo è riconosciuto al datore di lavoro dal Codice Civile (articoli 2086 c.c. e 2104 c.c.).
Dall’altra parte il diritto del lavoratore a non essere leso nella propria dignità, libertà e riservatezza. Tale diritto è garantito e riconosciuto in Italia dalla Costituzione, dal Codice Privacy (D.lgs. 196/2003) e in ambito comunitario da importanti provvedimenti normativi (tra tutti merita menzione il “Documento di lavoro riguardante la vigilanza sulle comunicazioni sul posto di lavoro elaborato dal Gruppo di lavoro sulla protezione dei dati istituito in base all’articolo 29 della Direttiva 95/46/CE).
La coesistenza di tali due egualmente importanti diritti è, dal punto di vista normativo, regolata dallo Statuto dei Lavoratori, ma è oggi al centro di importanti dibattiti di dottrina e giurisprudenza.
La questione al centro del dibattito, non sempre di facile soluzione, è la seguente:
può il datore di lavoro controllare il corretto utilizzo di quegli strumenti tecnologici di lavoro che mette a disposizione del dipendente ed eventualmente sanzionarne l’uso non corretto?
In altri termini, fino a dove è lecito il potere di controllo del datore di lavoro e quando, viceversa, è lesivo della riservatezza del lavoratore?
Punto centrale di tale complesso tema è l’applicabilità di alcuni articoli dello Statuto dei lavoratori ai così detti “controlli tecnologici”.
Primo fra tutti l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.
La norma, al primo comma, sancisce un divieto inderogabile e assoluto, assistito da sanzione penale, di installazione ed uso di impianti audiovisivi e altre apparecchiature finalizzate al controllo “dell’attività lavorativa”.
Il secondo comma contiene un divieto che potremmo definire flessibile. Consente, infatti, l’utilizzo di strumenti dai quali potrebbe derivare indirettamente un controllo a distanza dei lavoratori, purché ricorrano le seguenti condizioni:
il ricorso ad impianti o ad apparecchiature di controllo sia richiesta “da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro”;
l’installazione sia subordinata al raggiungimento di un “accordo con le rappresentanze sindacali aziendali,” o “in mancanza di queste, con la commissione interna”
In difetto di accordo, il datore di lavoro deve ottenere l’autorizzazione dalla Direzione regionale del lavoro competente per territorio, la quale provvede stabilendo “ le modalità per l’uso di tali impianti”.
Dalla lettura dell’articolo 4 è facilmente ricavabile una distinzione abbastanza netta nell’ambito degli strumenti di controllo tra:
le apparecchiature destinate unicamente a controllare a distanza lo svolgimento dell’attività lavorativa, sottoposte al divieto assoluto
le apparecchiature la cui installazione è richiesta da esigente organizzative e produttive o di sicurezza del lavoro, che non hanno come finalità primaria il “controllo”, soggette ad un divieto flessibile.
L’installazione di entrambe le tipologie di apparecchiature e l’eventuale violazione dei divieti sopra illustrati comportano tuttavia le medesime conseguenze.