L’odierna tecnologia governata dall’Intelligenza Artificiale (IA) potrebbe sostituire i testimoni in tribunale e contribuire ad inchiodare i colpevoli di crimini?
Amazon Echo, lo speaker intelligente di Amazon animato dall’assistente digitale Alexa, sarà ascoltato dalla polizia in merito a un caso di omicidio, praticamente alla stregua di un testimone. La notizia arriva dagli Stati Uniti, ed è il corollario di una vicenda che ha avuto inizio intorno a dicembre dello scorso anno, in Arkansas.
Qualche settimana fa un giudice del New Hampshire ha domandato ad Amazon di fornirgli i dati registrati di un assistente vocale Echo: l’apparecchio si trovava infatti nella cucina di una casa di Farmington dove, nel 2017 aveva avuto luogo un duplice omicidio, secondo quanto riportato dall’agenzia Associated Press ripresa da Le Monde.
Il sospettato era stato accusato di aver assassinato due donne e l’ufficio del procuratore aveva ritenuto che l’assistente vocale potesse fornire degli elementi prima, durante e dopo la morte delle due donne in grado di dare una notevole svolta al caso.
La polizia dello Stato USA aveva quindi richiesto ad Amazon, tramite un mandato, le registrazioni audio che una delle proprie unità Echo poteva aver incamerato sulla scena di un omicidio di primo grado.
Dal momento che il device è sempre all’ascolto in cerca della frase di attivazione “hey Alexa” e che l’unità in questione si trovava all’interno dell’appartamento del principale sospettato, la polizia puntava a trovarci informazioni utili a incastrare quest’ultimo.
Amazon si era però inizialmente opposta all’ordinanza evidenziando la possibile violazione (addebitabile ad essa) di due emendamenti della Costituzione degli Stati Uniti: il primo ed il quinto, che, come abbiamo imparato dalle tante fiction tv di law & crime, garantiscono (tra l’altro) la libertà di parola (e quindi di rifiuto alla stessa) e la facoltà di non testimoniare contro se stessi. In particolare, lato utente dello smart speaker ed indiziato lato accusa, la norma di riferimento è il quinto emendamento, che prevede che nessuno possa essere obbligato ad accusarsi (“No person (…) shall be compelled in any criminal case to be a witness against himself”). Ora, in quanto diramazione personale (l’Intelligenza Artificiale assorbe le nostre abitudini e conoscenze e quindi è in un certo senso una altra forma di noi stessi), lo smart speaker potrebbe essere considerato un’espressione di noi stessi.
Nel caso di specie, tuttavia, Amazon ha poi acconsentito a fornire alla polizia dell’Arkansas l’accesso ai propri server (dove sono archiviate le clip audio registrate dagli smart speaker Echo), principalmente perché era stato l’accusato a dichiarare di non avere nulla in contrario a riguardo, sicché veniva a cadere la pregiudiziale di garanzia costituzionale.
Resta da capire quanto questi dati saranno utili nell’odierna indagine, tanto più che se lo stesso accusato ha rinunciato a godere dello schermo costituzionale evidentemente era certo che non vi fossero elementi in grado di comprometterlo.
D’altro canto, se è vero che, da una parte, il device è sempre in ascolto, dall’altra le registrazioni mantenute in memoria dovrebbero riguardare solamente gli istanti immediatamente precedenti e successivi all’attivazione di Alexa (ma vai a saperlo se è veramente così…).
La polizia spera dunque, attraverso l’I.A., di trovare registrate online delle prove schiaccianti sotto forma di stralci di conversazioni tra sospettato e vittima avvenute proprio al momento opportuno; tuttavia le probabilità che l’assistente vocale abbia registrato tali conversazioni, risultano essere davvero scarse.
Anche se la prospettiva è suggestiva: prima di archiviare frettolosamente la questione limitandosi a censurare l’ingerenza inevitabile nella nostra sfera personale di orecchie elettroniche sempre attive (che peraltro già ci sono con l’onnipresente smartphone), ricordiamo che come potrebbe comprometterci, uno smart speaker potrebbe anche costituire una prova a nostra difesa in caso di ingiusta accusa (E.L. per NL)