Dopo ventiquattrore passate nel carcere di Khartoum, è stata liberata ieri la giornalista Loubna Ahmed al-Hussein, divenuta nelle ultime settimane il simbolo della lotta per i diritti delle donne e per l’abrogazione della legge n 152/91 del codice penale sudanese, che prevede pesanti pene corporali a chiunque “commetta un atto indecente, un atto che viola la moralità pubblica o indossi indumenti indecenti”. Loubna è uscita dal carcere, nonostante avesse sbandierato l’intenzione di non scendere a compromessi con le autorità sudanesi, che avevano commutato la sua pena (40 frustate) in una multa di 500 lire sudanesi, equivalenti a circa 200 dollari americani, in alternativa ad un mese di detenzione. “Non pagherò, vado in prigione”, aveva detto due giorni fa all’apprendimento della sentenza di condanna, più “soft” di quanto previsto dalla legge come pena massima (40 frustate, appunto). Ed, in effetti, il suo avvocato aveva fatto sapere che in prigione c’era andata sul serio. Lì, però, c’è rimasta solo una notte, dopo che ieri l’Unione dei giornalisti sudanesi ha pagato la sua cauzione e l’ha fatta liberare, erigendola a paladina della lotta per i diritti delle donne in Sudan e trasformandola in un eroe mediatico. “Non so neanche chi abbia pagato la multa. Avevo chiesto alla mia famiglia e ai miei amici di non pagarla”. Sono state queste le prime parole della giornalista, all’uscita dal carcere di Khartoum, dove ha proseguito, rendendo noto che la sua lotta non si ferma qui. “Continueremo a combattere”, ha detto, regalando un po’ di speranza alle donne del suo Paese, i cui diritti diventano spesso e volentieri un optional da quando il Sudan è in mano ad una giunta militare comandata da Omar Hasan Ahmad al-Basir, che prese il potere nel 1989, a seguito di un colpo di Stato. Da allora lo Stato, dove già vige una Costituzione ispirata alla Sharia, la legge islamica, versa condizioni di vita antidemocratiche. Per non parlare, poi, delle forti minoranze religiose, del 25% di sudanesi che professano religioni animiste e del 5% di cattolici, presenti entrambi in maniera massiccia nel sud del Paese, e che devono sottostare a queste leggi. Tornando al caso di Loubna, la giornalista fu arrestata nel luglio scorso, assieme ad un gruppo di dodici donne, in un ristorante, con l’accusa di essere vestite in modo “indecente”. Loubna e le sue amiche portavano i pantaloni. E proprio in pantaloni, rigorosamente, la giornalista è uscita dal carcere, scortata da uno stuolo di reporter internazionali, promettendo battaglia. Siamo con lei. (G.M. per NL)