Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane

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Tra le conferenze dell’UIT, che hanno luogo normalmente ogni due/tre anni, una in particolare ha avuto conseguenze rilevanti nei rapporti tra l’Italia e gli Stati confinanti: la Conferenza del 1984, a seguito della quale è entrato in vigore il Piano in Modulazione di Frequenza (F.M.) del 1987.
Dal 29 ottobre al 6 dicembre 1984, si tenne a Ginevra la Conferenza amministrativa regionale dell’UIT per la radiodiffusione sonora in modulazione di frequenza (cd. F.M. = 87,500-108,000 MHz), con la finalità di aggiornare la mappatura dell’etere rispetto al precedente protocollo.ITU - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italianeTale protocollo venne siglato a Stoccolma nel 1961, attraverso la redazione di un articolato Piano di Ripartizione ed Assegnazione delle Frequenze che contemperava le esigenze di sovranità territoriale (autonoma gestione dello spettro radioelettrico nei territori di competenza di ogni paese aderente all’UIT) con una indispensabile direzione internazionale (dato che, come si è detto, le onde elettromagnetiche non possono essere rigidamente controllate, determinando una genetica sovrapposizione in territori posti ai bordi dei singoli Stati).
L’Italia partecipò alla Conferenza quale membro della Regione 1, in una situazione di pressoché totale ignoranza del proprio assetto radioelettrico misto (pubblico/privato).RADIO MILANO PALMANOVA - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane
Nessuno, infatti, in Italia era in quel momento in grado di dichiarare quante emittenti private fossero attive e, tanto meno, quanti impianti esse esercissero e, a cascata, con quali caratteristiche. Infatti, solo il 6 dicembre 1984 (l’ultimo giorno della Conferenza di Ginevra) il Governo italiano avrebbe promulgato il Decreto n. 807, recante disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive, il quale sarebbe poi stato convertito nella L. 10 del 4 febbraio 1985.
La questione rileva nella misura in cui il predetto disposto normativo statuiva, all’art. 4, l’obbligo per i soggetti esercenti imprese radiotelevisive di produrre informazioni sulle caratteristiche essenziali delle stesse ed in particolare sugli impianti impiegati per l’attività di radiodiffusione, assegnando 90 giorni di tempo dalla pubblicazione in G.U. (05/02/1985).
Discende da ciò che sino alla metà del 1985 lo Stato italiano non ebbe modo di conoscere quali e quante fossero le emittenti radiotelevisive attive sul proprio territorio!
Possiamo quindi immaginare l’imbarazzo dei rappresentanti italiani a Ginevra, allorquando essi formalizzarono le proprie richieste di assegnazione di frequenze….
La Conferenza di Ginevra, al termine delle consultazioni, attribuì 52.000 frequenze, di cui 4.648 all’Italia (che inizialmente ne aveva richieste 4.531). Oltre la metà erano conseguenze dei piani di sviluppo elaborati ad usum Delphini dalla Radiotelevisione Italiana (RAI), la quale era stata, di fatto, l’unico soggetto consultato dall’allora Ministero delle Poste e Telecomunicazioni in prossimità della conferenza internazionale.
In soldoni, detratti gli impianti RAI già attivi e le risorse radioelettriche alla base del piano di implementazione sviluppato dalla concessionaria pubblica, rimanevano ai privati meno di 2.000 impianti, numero che, a seguito del successivo confronto coi dati del censimento ex L. 10/85, corrispondeva all’incirca al 20% delle stazioni esistenti (RAI esclusa)!
Dato che la finalità primaria della Conferenza di Ginevra era quella di coordinare l’utilizzo delle risorse radioelettriche (frequenze) tra gli Stati appartenenti all’UIT, venne fissata una data entro la quale i Paesi firmatari avrebbero attuato la pianificazione F.M. al fine di eliminare o scongiurare l’insorgere di fenomeni interferenziali. Tale data venne individuata nel 1° luglio 1987.
La posizione dell’Italia era tanto più grave se si considera che già nella relazione datata 1° giugno 1984, inviata dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni al Consiglio superiore tecnico delle P.T.A. e in seguito allegata al Piano italiano presentato ai lavori di Ginevra, si rimarcava la rigidità della pianificazione internazionale, ponendo l’accento sul fatto che l’accordo avrebbe previsto “anche una procedura per le modifiche” che, tuttavia, avrebbe tollerato “variazioni d’entità minoritaria”.
radio 24 antenne 4 - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane
In altri termini, alla data del 1° luglio 1987 avrebbero potuto e dovuto essere attivi sul territorio italiano (così come sui territori degli altri Paesi firmatari) solo impianti coordinati, in termini interferenziali, a livello internazionale.
D’altro canto, la ratio era semplice: redigere una pianificazione quadro internazionale entro la quale contenere singoli Piani Nazionali di Ripartizione delle Frequenze, propedeutici a Piani Nazionali di Assegnazione delle Frequenze adottati da ogni Paese aderente all’UIT.
In effetti, la più volte citata L. 10/85 previde, all’art. 2, un Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze, che tuttavia trovò totale e continua disattenzione.
Alla vigilia del Piano di Ginevra, dunque, la situazione radiofonica italiana era alquanto eterogenea: RAI a parte (già storicamente presente con le reti 1, 2 e 3, cui si aggiungeva un canale tematico metropolitano denominato “Auditorium”), diffondevano le proprie trasmissioni oltre 4.000 emittenti sovente di dimensioni pulviscolari (radio di quartiere o con una diffusione limitata a qualche Kmq), che non raramente sopravvivevano grazie alla profusione di risorse economiche degli stessi animatori (nella stragrande maggioranza dei casi, volontari), integrando la quota restante per il conseguimento del pareggio di bilancio con un’approssimativa raccolta pubblicitaria, ottenuta senza strategie programmatiche.
La restante quota (circa 600 emittenti) constava di soggetti giuridici di maggiori dimensioni imprenditoriali e/o editoriali. Tra essi si annoveravano emittenti di rilievo operanti nei grandi centri urbani, emittenti di caratura regionale o interregionale, radio non commerciali di un certo peso editoriale (generalmente iniziative riconducibili a partiti politici che avevano individuato nel medium radiofonico un interessante veicolo per la promozione del proprio credo), nonché qualche rete “nazionale” in nuce (il fenomeno delle reti, poi impropriamente definite “network”, sarebbe esploso nella seconda metà degli anni ’80).
Tale massa composita si muoveva in forma scoordinata, incapace di darsi una rappresentanza univoca che potesse farsi portavoce delle esigenze comuni: le associazioni di categoria esistenti, scarse nel numero e nelle rappresentatività (si calcola che al tempo aderissero a sindacati di settore meno del 30% delle emittenti), non erano, nella pratica, in grado di proporsi come interlocutori validi nelle relazioni con gli organi istituzionali.Radio Studio 105 antenna 98850 Monte Penice - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane
Infatti, solo dopo il 1985, alla presenza di evidenti e chiaramente percepiti pericoli connessi sia all’entrata in vigore del Piano di Ginevra, che alla sempre più diffusa presenza di una magistratura d’assalto la quale, nel pressoché totale vuoto legislativo, assumeva decisioni spesso rigorose, le emittenti iniziarono un coordinamento sindacale che, attraverso tre o quattro sigle principali, concorse alla nascita di Tecniter. Si trattava di una società di diritto privato, partecipata da soggetti portatori di interessi diffusi, avente quale oggetto sociale la fornitura agli organismi specifici del Ministero PT di un supporto operativo tecnico di parte privata per la gestione dei problemi comuni riguardanti i criteri generali della pianificazione del settore privato e le interazioni tra la pianificazione del settore privato e la pianificazione del servizio pubblico.
Tuttavia, si è detto, ciò accadde solo nel 1985; sicché l’unico interlocutore del governo nella delicata fase di preparazione alla conferenza di Ginevra fu la RAI che, naturalmente, operò pro domo sua.
Incapace di gestire un fenomeno di cui nemmeno conosceva la portata, il governo italiano basò le proprie relazioni propedeutiche alle richieste da sottoporre al vaglio della Conferenza internazionale sui dati forniti dalla RAI che, verosimilmente di proposito (l’occasione era ghiotta per mettere i bastoni tra le ruote ad un concorrente ancora in fasce, ma nondimeno potenzialmente pericoloso), rappresentò un universo radiotelevisivo totalmente avulso dalla realtà (emerse che lo spettro r.e. in Italia era occupato stabilmente solo da segnali RAI).Radio Studio 105 antenna 99075 MHz Milano - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane
Di fatto, sui tavoli di Ginevra finì la mappatura della copertura delle reti F.M. del servizio pubblico integrata dai piani di sviluppo della stessa, dove gli impianti privati (che erano la maggioranza) rappresentavano un elemento residuale e quasi insignificante.
La sciagurata ignoranza del proprio assetto radioelettrico – in assenza di cause di giustificazione valide – avrebbe determinato per l’Italia, negli anni a venire, il conseguimento del poco invidiabile primato di Stato maggiormente inadempiente nell’ambito della pianificazione delle frequenze F.M.
Puntualmente gli Stati firmatari dell’accordo di Ginevra del 1984 confinanti con l’Italia attuarono le disposizioni sottoscritte in sede internazionale, così determinando quello che sarebbe apparso un paradosso: la principale conseguenza per gli operatori radiofonici privati italiani della Convenzione di Ginevra che – ricordiamo – aveva quale obiettivo predominante la tutela delle trasmissioni dalle perturbazioni radioelettriche, fu l’insorgenza di …. interferenze.Radio Onda Rossa 2 - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane
Accadde, infatti, che, presentandosi a Ginevra senza un adeguato tracciato dell’occupazione dello spettro radioelettrico nazionale, l’Italia non poté (o, secondo alcuni, non volle…) evidenziare quelle che erano le frequenze effettivamente (quindi già) occupate (dai privati) nel proprio territorio, così nulla potendo eccepire circa l’assegnazione di alcune di quelle frequenze ai propri confinanti “radioelettricamente” più rilevanti: la Svizzera, lo Stato del Vaticano, l’Austria, la Francia, la Iugoslavia, l’Albania e l’Africa settentrionale (peraltro, la questione avrebbe assunto rilevanza meramente accademica, considerato che tutta la modulazione di frequenza italiana era da anni già satura di segnali…).
In realtà, i rilievi montagnosi (Alpi) e la presenza del mare resero pressoché marginali le problematiche interferenziali con Austria, Francia, Iugoslavia, Albania ed Africa. Sul tappeto rimasero quindi le questioni con Svizzera e Stato del Vaticano (S. Marino aveva rinunciato a dotarsi di emissioni radiotelevisive proprie per un certo numero di anni).
La situazione esplose in tutta la sua gravità nell’estate 1985, allorquando Radio Vaticana attivò i quattro impianti F.M. dispettanza, oscurando altrettante emittenti private italiane che occupavano le relative frequenze (Radio Roma, Radio Radicale, Radio 105 e Radio Onda Rossa).radio radicale 1975 - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane
Più articolata, anche se meno dirompente (l’attivazione degli impianti di Radio Vaticana ebbe ovviamente incidenza diretta sulla città di Roma…), la situazione con la Confederazione elvetica: in base agli accordi di Ginevra, la Svizzera avrebbe dovuto attivare 9 nuovi impianti in area di confine con l’Italia, mutando però le frequenze di altri 19 impianti esistenti (circostanza che, di fatto, equivaleva a nuove attivazioni…).
Per di più, poiché le frequenze assegnate alla Svizzera erano già occupate da emittenti italiane (che attraverso trasmettitori posti normalmente sulle principali alture delle province di Varese, Como e Novara irradiavano tranquillamente anche – quando non volutamente – in territorio elvetico), lo Stato elvetico denunciò la situazione all’UIT che, naturalmente, mise in mora l’Italia per violazione di diritto cogente (principio giuridico pacta sunt servanda).Radio Studio 105 regia automatica - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane
Per fronteggiare la “crisi radioelettrica internazionale”, l’Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni incaricò i propri organi periferici (allora denominati “Circostel”) di intervenire prontamente, ingiungendo alle emittenti italiane di ridurre la portata delle proprie trasmissioni entro i confini nazionali, pena la disattivazione degli impianti.
La situazione era in realtà più complessa di quanto poteva sembrare a prima vista: la congestione dell’etere italiano (vicino al collasso, attesa l’operatività anomica delle emittenti) aveva determinato l’impiego di potenze sempre più elevate, con l’intento di prevalere su emissioni contigue o coincidenti (sia in termini territoriali che frequenziali).aspetti giuridici delle interferenze in modulazione di frequenza tra stati confinanti Italia Svizzera - Storia della radiotelevisione privata italiana. Ginevra 1984: apocalisse annunciata delle radio italiane
Da ciò discendeva che la riduzione del segnale per ottemperare alle ordinanze amministrative di eliminazione d’interferenze, al fine di tutelare le emissioni straniere, esponeva in forma speculare l’attore a terze perturbazioni.
Ritenendosi, iusto iure, portatori d’interessi legittimi (e di diritti soggettivi perfetti) iniquamente compressi, le emittenti italiane colpite da provvedimenti pesantemente incidenti nella propria sfera giuridica adirono la giustizia amministrativa.
I TAR appellati, in gran parte, in attesa di esaminare nel merito la complessa questione, sospesero in via cautelare le ordinanze ministeriali, così aggiungendo stallo alla confusione normativa e fattuale. Qui per approfondire l’argomento. (M.L. per NL)

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